Coco: la recensione di Mauro Lanari
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Coco: la recensione di Mauro Lanari

Coco: la recensione di Mauro Lanari

“Oceania/Moana” non poteva ch’essere un’incredibil’eccezione nell’universo ideologico disneyano ultratradizionalista e dunque, anzitutto, filofamiliarista. In quella straordinaria leggenda Maori i genitori non erano figure di sostegno bensì delle zavorre da cui emanciparsi pur di trovare una salvezza per sé stessi m’anche per loro, vittime d’arcaici retaggi culturali. Sembrava quasi che i soggettisti avessero preso spunto dalla parentectomia di Bettelheim. Stavolta invece si torna a Casa come nell’altra ciofeca d'”Inside Out”, dov’il pilastro dell’equilibrio psichico consistev’appunto nei vincoli parentali. Ma il conformismo non si pone limiti, perciò via alla sagra delle furbate politically correct: se “Pocahontas” riabilitava i nativi nordamericani, “Coco” si schiera dalla parte dei Messicani per calcolo economico (i cattolici di lingua ispanica son’un bacino da mezzo miliardo di potenziali utenti paganti) e geopolitico (“Birdman” e “Revenant” avrebbero mai vinto degl’Oscar se Iñárritu non fosse stato messicano? A maggior ragione, si può non parteggiare “contr’il Muro” nell’era trumpiana?) più che per una sincera poetic’artistica. Lo strike però arriva sol’aggiungendo il pastrocchio fr’Halloween, l’aldilà sciamanico e quello del cane/fides dantesco, e qui si tocca il parossismo di festività consumistica, “psichedelia al peyote degli spiriti-guida dell’oltretomba” e messe gregoriane in suffragio dei morti. La celebrazione del “Día de Muertos” è una bulimica Fantasylandia che ridicolizza i delir’immaginifici d’un Tim Burton. Coco, coca e cocchi di mamma.

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