Cold War: la recensione di Antonio Montefalcone
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Cold War: la recensione di Antonio Montefalcone

Cold War: la recensione di Antonio Montefalcone

“Cold War”, premiato per la regia al festival del cinema di Cannes 2018 e trionfatore agli EFA con ben 5 premi (miglior film, regia, montaggio, sceneggiatura e attrice), è l’ultima, coinvolgente pellicola del regista Pawel Pawlikowski, premio Oscar per “Ida”.
Il film narra un amore travolgente e impossibile, tra Wiktor (Tomasz Kot), un musicista e direttore di un corpo di ballerini e cantanti, e l’allieva Zula (Joanna Kulig – già vista in “Ida”), durante gli anni ’50 e ’60, gli anni della Guerra Fredda citati dal titolo.
Tra la natia Polonia, la Berlino divisa, la Jugoslavia e la Parigi bohémien, il regista mette in scena una vicenda che è ispirata a quella dei propri genitori ed è dedica alla loro memoria (i due protagonisti condividono con loro il nome di battesimo) e cerca di dar vita ad una materia romantica e dolorosa al tempo stesso, che ha sullo sfondo il mutevole e drammatico scenario storico-sociale della Polonia del dopoguerra e dell’Europa intera.
Raffinato l’apparato stilistico-formale nella sua totalità: lo script è rigoroso e poco convenzionale, i toni e la tensione sono sempre smorzati, la narrazione divisa in una serie di brevi riquadri, l’aspect ratio è di 1:1.37 (4/3), le inquadrature fisse, il montaggio funzionale ed efficace, il reparto musicale accurato ed emblematico (il folk tradizionale, i canti popolari polacchi, quelli sovietici, il jazz), e, soprattutto, la splendida fotografia: un elegante e suggestivo bianco e nero che rievoca il grigiore della complessità dell’epoca, oltre che i travagliati e tormentati moti dell’animo e sentimentali dei due protagonisti, i quali più volte durante il film si perderanno e si ritroveranno, incapaci a stare insieme e a trovare un qualsiasi equilibrio, come del resto accade nello sfondo politico col suo status oppressivo e totalitario.
La forma si amalgama in maniera algida ed analitica anche con la dimensione narrativa, che appare alla fine come uno “struggente” e lirico romanzo per immagini.
Insomma, un’opera interessante nel complesso, forse più riuscita nella prima parte, e un po’ trattenuta sul versante della forza emozionale, ma di indubbia qualità visiva ed espressiva, che scava nei conflitti psichici e caratteriali dei suoi personaggi, nelle inquietudini e nei tormenti, nelle colpe e nelle insoddisfazioni, alla ricerca di una «vista migliore» dove poter guardare meglio l’altro, l’avvenire e se stessi…

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