Piena sufficienza per il regista statunitense David Frankel (Il diavolo veste Prada; Io e Marley) che, nella sua settima opera, Collateral Beauty, riesce a coinvolgere emotivamente una buona fetta di pubblico. Ordinata e senza troppe pretese la sceneggiatura di Allan Loeb (Wall Street: il denaro non dorme mai; Rock of Ages). A parte alcune battute un po’ piatte , il copione ci regala una discreta scrittura, coinvolgente in alcuni punti (complici interpreti di tutto rispetto). La fotografia di Maryse Alberti (The Wrestler; Creed – Nato per combattere) si fa notare, ad un occhio comune e poco esperto del tema come il mio, per l’utilizzo dei colori freddi (il clima invernale e nevoso domina con il suo prepotente bianco) che soffocano quelli caldi, questi ultimi maggiormente associati a Madeleine (Naomi Harris). In una pellicola dove prevale un sottofondo silenzioso le musiche di Mychael Danna (8 mm – Delitto a luci rosse; Cuori in Atlantide; L’arte di vincere; Vita di Pi; Devil’s Knot – Fino a prova contraria; Foxcatcher – Una storia americana; The Captive – Scomparsa; Deadpool) e di Theodore Shapiro (Il diavolo veste Prada; Tu, io e Dupree; Tropic Thunder; io e Marley; Zoolander 2; Ghostbusters [2016]) in alcuni momenti riescono a fare presa sull’emotività dello spettatore. Sicuramente ha alzato il livello del prodotto il cast di stelle che si è unito alla guida di Frankel (Will Smith, Edward Norton, Kate Winslet; Keira Knightley, Helen Mirren, Michael Peña) consegnandoci un film tutto sommato godibile.
Howard Inlet (Will Smith) è un brillante dirigente pubblicitario fino a quando, tragicamente, la sua piccola figlia muore. Da quel momento in avanti Howard diventa depresso, abbandona sentimenti ed amici, considera la sua esistenza ormai del tutto inutile. Il suo comportamento rischia però di coinvolgere negativamente gli impiegati e il futuro dell’azienda che, a causa sua, rischia il fallimento. I suoi tre amici, nonché partner commerciali, Claire Wilson (Kate Winslet), Whit Yardsham (Edward Norton) e Simon Scott (Michael Peña) temendo per la salute mentale di Howard, ma anche per il destino della società, decidono di assumere un investigatore privato, Sally Price (Ann Dowd), al fine di acquisire le prove necessarie a dimostrare che Howard non è più in grado di gestire la società e consentendo a loro di ottenerne il controllo. Sally riesce a intercettare le lettere che Howard scrive ad Amore (Keira Knightley), Tempo (Jacob Latimore) e Morte (Helen Mirren) con cui il mittente si dovrà, in seguito, confrontare personalmente.
Fin da principio il film di Frankel scorre ordinato. Le diverse sequenze risultano facilmente individuabili grazie ai personaggi di Amore, Tempo e Morte che, agendo come attori teatrali, entrano in scena alternandosi con regolarità. Ne risulta un’opera ben distinta in atti. Non a caso la “sede” o “base operativa” delle tre astrazioni è un teatro dismesso, dove eseguono le prove che precedono la prima messa in scena in cui accompagneranno l’inconsapevole protagonista interpretato da Will Smith. Quest’ultimo, per una fetta di film, trasmette tutto il suo dolore per la scomparsa della figlia esclusivamente tramite l’espressività. Non proferisce parola, appare raramente e per poco. A cosa servono le parole in momenti come questi? Howard viene colpito da uno tsunami fatto di oscurità che, una volta travolto, lo lascia svuotato di tutti i sentimenti. Costruisce una diga mentale solo in apparenza invalicabile, con cui vuole impedire a se stesso di guardare indietro e ricordare. Vorrebbe poter rimuovere tutto ciò che è stato ma tutto ciò che è stato giace proprio lì, appena dietro quella diga. Terminando con questo pensiero angoscioso e parlando d’altro è dunque proprio il protagonista, Howard, a dare il via all’opera teatrale scambiando le sue prime battute con la Morte (Helen Mirren è sempre raggiante!). Negli intervalli tra un atto e l’altro interviene, nella calda luce soffusa di una stanza dove si riunisce un gruppo di sostegno, la figura dolce e rassicurante di Madeleine, con cui Howard stringe un rapporto mano a mano più stretto. Nulla si può più aggiungere al riguardo. Sullo sfondo si muovono i personaggi secondari, i tre amici/colleghi di Howard i quali mostrano maggiore preoccupazione per l’amico depresso e per la società per cui lavorano che per le proprie vite e relazioni. Ognuno di loro, come ognuno di noi, vive una grande sofferenza interiore con cui ci si deve confrontare con coraggio ogni giorno. Tutti e tre, non meno di Howard, vivono con rassegnazione e hanno bisogno di aiuto (ma non avevo terminato con l’angoscia? Si, ora si, giuro. O forse no?). Per i meno attenti durante la visione risulta presente qualche colpo di scena nel tentativo, abbastanza riuscito, di non rendere la pellicola eccessivamente monotematica (un piccolo regalino soprattutto per gli spettatori che, presenti più che altro per accontentare le voglie cinematografiche della propria dolce metà, si sono concessi un sonnellino di noia). In definitiva, il film di David Frankel, vuoi per il protagonista (Will Smith), vuoi per la tematica, ricorda abbastanza Sette Anime Di Gabriele Muccino. Nonostante ciò, si avverte qualcosa di diverso nella pellicola del regista americano. Per essere banali, Collateral Beauty risulta meno tragico (ma tragico!) rispetto a Sette Anime e da cui, in sostanza, riesce a prendere le distanze (non eccessive). Se quindi pare mancare di originalità (chi non ha pensato anche ai noti fantasmi di Dickens?!), il prodotto di Frankel riesce, meno volte di quanto ci si aspettasse per la verità e forse meno di quanto il regista volesse, a toccare le corde più profonde dell’animo umano. Pur con la sua tematica tutt’altro che leggera, il girato è volontariamente diviso in sequenze nette e comprensibili (come detto prima, sulla scorta di un’opera teatrale) ed è fatto per coinvolgere una larga fetta di pubblico. Se quindi qualche difetto c’è, e si vede, mi sento di promuovere, non a pieni voti, questa pellicola che forse (sicuramente) riceve da me qualche punticino di gradimento in più grazie a Will. Personalmente lo adoro in ogni sua interpretazione, dalla drammatica a quella comica. E anche qui, l’ho inevitabilmente apprezzato. Anche gli altri interpreti non sono malaccio (scherzo, ad averceli dei cast così!). Forse, anche il fatto che l’abbondanza di ottimi attori non abbia reso questo film quanto meno un ottimo prodotto, può far riflettere sulla sua qualità, accettabile certo, ma non eccellente.