Mattia (un convincente Josafat Vagni) ha 20 anni, un fidanzato (Eduard) che sta per raggiungere a Madrid e un problema: confessare la propria omosessualità alla famiglia. È questo il tema che sta al centro di Come non detto, esordio alla regia di Ivan Silvestrini (già noto e apprezzato creatore della web serie Stuck), che porta sullo schermo una sceneggiatura originale scritta da Roberto Proia.
Un debutto non perfetto, ma sicuramente interessante, che accanto ai difetti porta con sé anche il grande merito di raccontare l’affermazione dell’identità sessuale attraverso il filtro della risata e della normalità. Lontano dai toni mélo di Ferzan Ozpetek, a cui comunque strizza l’occhio – il momento-verità si consuma attorno a un tavolo durante una cena in famiglia –, Come non detto sceglie di raccontare il lato comico del coming out, servendosi di escamotage narrativi che accelerano il ritmo e l’azione (Eduard piomba all’improvviso a Roma per fare una sorpresa a Mattia e ai suoi genitori), di colori che definiscono lo stile pop, quasi anglosassone, della pellicola e due comprimari divertenti, alias i migliori amici del protagonista: Giacomo (un inedito Francesco Montanari), lavandiere di giorno e drag queen di notte, e la “frociarola” Stefania (Valeria Bilello, la migliore tra gli interpreti). Per una volta niente dramedy, dunque, solo comedy. Di quelle che alle “fate ignoranti” preferiscono gay che non ascoltano Lady Gaga, non hanno modi effeminati e nessun gusto per la moda. Il problema qui è proprio l’opposto; Mattia preferisce sentirsi dire: «Non sembri gay» piuttosto che liberarsi del peso che lo imprigiona e iniziare a vivere con serenità la propria sessualità.
Da questa prospettiva Come non detto si distingue come novità all’interno del nostro panorama cinematografico e, perché no, anche all’interno del contesto culturale in cui viviamo, dove l’omosessualità rimane ancora un argomento scomodo, se non addirittura un tabù. Mostrarne la fragilità, le difficoltà di un ragazzo a essere se stesso per la paura di deludere gli altri, e nello stesso tempo sdrammatizzare – smascherando il tanto-rumore-per-nulla che si scatena intorno all’outing – assume una sua valenza sociale. E si fa messaggio per tutti coloro che direttamente o indirettamente vivono quest’esperienza.
Laddove, però, il rispetto per la realtà cede il passo all’esagerazione della finzione, il film vacilla, inciampa e cade. Ed è soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi secondari, e nelle sequenze che li vedono coinvolti, che il film calca troppo la mano. La madre dalla lacrima facile (Monica Guerritore), il padre donnaiolo, omofobo e sessista (Ninni Bruschetta), la sorella coatta con una squadra di figli al seguito, il cognato soprannominato Er pistone (e non per il mestiere di meccanico), la nonna ultraottantenne alla disperata ricerca di un lavoro, lo stalker di Mattia ai tempi del liceo sono tutte macchiette che stonano all’interno di un film che vorrebbe mantenere un tono equilibrato, non cedere ai cliché e condire i dialoghi con la risata e l’intelligenza.
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Mi piace
L’idea di raccontare il coming out da una prospettiva diversa, cercando di sdrammatizzare sugli ostacoli e le sofferenze che comporta. Il messaggio che il film lancia: essere se stessi non deve essere un atto eroico.
Non mi piace
La caratterizzazione dei personaggi secondari, i cui eccessi li trasformano in macchiette che stonano all’interno del film, contaminando il tono e gli intenti.
Consigliato a chi
A chi direttamente o indirettamente ha vissuto, vive o vivrà l’esperienza del coming out.
Voto
3/5