Come un tuono: la recensione di Stefano94
telegram

Come un tuono: la recensione di Stefano94

Come un tuono: la recensione di Stefano94

VOTO: 9/10
Luke Glanton è un abile stuntman di motocross che lavora in un circo ambulante. Sguardo tenebroso, il corpo pieno di tatuaggi. Una sera viene a trovarlo ad uno spettacolo Romina, una sua vecchia fiamma che scopre aver cresciuto suo figlio. Venendo a sapere di avere un figlio, Luke lascerà il circo e si metterà a lavorare in un’officina, dove la paga e la vicinanza con il bambino gli permetteranno di stargli più vicino, senza fargli mancare una figura paterna accanto. Romina gli lascia vedere il bambino, anche se il rapporto procede a rilento per via di Kofi, il suo nuovo compagno. I soldi però non bastano e così Luke chiede a Robin, il proprietario dell’officina di avere un aumento. Impossibilitato ad accettare la richiesta Robin gli consiglia di compiere delle rapine in banca, cosa che a lui in passato era riuscita. I primi colpi vanno a segno senza intoppi, ma quando Luke non dà ascolto a Robin, si mette nei guai in un colpo che non sa gestire. Qui entra in scena Avery Cross, un poliziotto qualunque che si mette alla ricerca di Luke. Dall’incontro con il criminale comincerà la discesa di Avery all’interno del backstage del mondo della politica e della morale della polizia, dove raggiri, ricatti e prevaricazione sono le uniche qualità necessarie. Dopo che Avery ambisce alla carica di procuratore la storia fa un salto in avanti di quindici anni, dove i figli di Luke e Avery, ormai diciassettenni, dapprima amici, riscoprono i dissapori paterni riaprendo una ferita chiusa.

Fantastico film di Derek Cianfrance, il film ha per protagonisti Ryan Gosling e Bradley Cooper nei panni di Luke e Avery, e Dane DeHaan e Emory Cohen nei panni dei rispettivi figli, Jason e AJ.

Un film profondo che però l’Italia non ha scordato di rovinare cambiando il titolo, che fa riferimento ad una frase di Robin, invece che The Place Beyond The Pines, titolo molto più profondo che ha a che fare con la bellissima scena finale del film.

Ottimi interpreti, ottima sceneggiatura, a cura dello stesso Cianfrance, ottime inquadrature a cura invece di Sean Bobbitt, celebre direttore della fotografi di Hunger e Shame, capolavori di Steve McQueen.

Tema centrale del film è senza dubbio la famiglia. La famiglia e la rabbia che si usa per proteggerla. Il fatto che il film sia diviso in tre filoni narrativi principali, quello di Luke, Avery e i loro figli, ci fornisce un quadro completo della psicologia di ogni personaggio, approfondendoli nella psiche e nei comportamenti.

Cominciamo da Luke. È uno stuntman acclamato negli spettacoli e la sua vita gli basta così com’è. Quando incontra nuovamente, a distanza di anni, Romina, la sua vita però prende una svolta improvvisa. L’idea di avere un figlio lo fa riflettere sulla sua vita, poiché lui è cresciuto senza una figura paterna accanto. Infatti mette la testa apposto e si mette a lavorare in un’officina, facendo la conoscenza di Robin, un delinquente in pensione. L’elemento della rovina qui risiede nel desiderio sfrenato di voler dare sempre di più a proprio figlio. Gli dava amore, e sarebbe potuto bastare, ma il terrore di non dargli abbastanza gli fa commettere una sciocchezza, ossia una rapina male organizzata. Quando Robin gli propone di cominciare a rapinare banche per arrotondare i guadagni, lui non se lo fa ripetere due volte, visto che è un modo come un altro per rendere felice suo figlio. Solo quello conta: un piccolo sorriso sul volto di un neonato.
Avery Cross è invece un semplice poliziotto. La svolta nella sua vita avviene dopo che arresta Luke. Viene acclamato come un eroe ed entra nel giro oscuro della polizia, dove fa sparire prove incriminanti ed entra in un losco giro di corruzione. Ci viene presentato però come un essere spaventato. Quando si lancia all’inseguimento di Luke, lo fa da novellino: tremante e insicuro. Anche quando gli viene chiesto di fare lavoretti sporchi lui reagisce come una creatura smarrita. Si lascia trascinare dalla corrente senza effettivamente voler prendere parte a ciò che fa. Anche quando ormai è procuratore, lo vediamo ammantato da una sicurezza comportamentale che però non gli appartiene, facendolo essere poco credibile e facendolo apparire forte quando chiaramente non lo è.
Nell’ultimo filone narrativo ci spostiamo quindici anni nel futuro, dove i figli di Luke e Avery vanno nello stesso liceo e sono amici. Una faccenda di ecstasy li conduce entrambi in carcere dove Avery scarcera subito i due per i poteri influenti che ha. Dopo quell’incontro fortuito Jason si mette ad indagare su suo padre, portando a galla vecchie verità e ferite ancora aperte. Violenza chiama violenza. Sangue chiama sangue. Impugnata una pistola Jason non esiterà ad utilizzarla contro Avery e suo figlio per riportare l’equilibrio nell’ordine delle cose. Ecco come la voglia di un sorriso si trasforma in una smorfia di rabbia e voglia di morte. Anche le figure di Jason e Aj sono interessanti: AJ è figlio di un uomo ricco, il che lo rende il solito ragazzo pavone, sicuro e altezzoso finché il padre lo difende, ma quando ha una pistola puntata contro non c’è certezza che tenga. Invece Jason rispecchia una natura molto più istintiva dell’uomo: in diciassette anni di vita non si era mai fatto troppe domande sul suo vero padre, ma l’incontro con Avery, che non aveva mai visto prima, riaccende in lui una consapevolezza inconscia, che lo metterà sulla strada della vendetta e della rabbia.

Un ottimo film, che nasconde molti messaggi e racconta una storia molto umana, primordiale e violenta.

Tra gli altri interpreti figurano Rose Byrne (insidious) e Ben Mendelsohn, tanto bravo qui nei panni del capo officina Robin quanto nei panni di Russell in Cogan.

Da vedere, soprattutto per la scena finale in cui capirete perché The Place Beyond The Pines avrebbe incarnato meglio l’anima del film come titolo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA