Script e sketch da scarti di Gino & Michele abbozzati s’un foglio della “Smemoranda” stracciato via, l’aggravante del moralismo edulcorato da editoriale su “Famiglia Cristiana”. Il film non offre altro, confuso e infelice. La problematicità della psicoterapia è un argomento troppo impegnativo per essere anche solo sfiorato da commedianti d’avanspettacolo anni ’50, lasciamo “A Dangerous Method” per qualcuno con maggiori e migliori competenze come a es. un Cronenberg. Invece la striminzita storiella d’un singolo psicoanalista in crisi va bene, benissimo, è già stata usata da Nuti in “Caruso Pascoski” (1988) e da Moretti cominciando con “La stanza del figlio” (2001) sino ad “Habemus Papam” (2011), il gruppo di pazienti in analisi dal Verdone di “Ma che colpa abbiamo noi” (2003), l’infausto viaggio della speranza per un handicap fisico sempre da Verdone in “Perdiamoci di vista” (1994), il parto in diretta dal Pieraccioni d'”Un fantastico via vai” (2013), addirittura qui la coppia dei protagonisti si chiama Marcello e Silvia con esplicita citazione de “La dolce vita” (1960). Attori ridotti a caratteristi condannati a un sempr’identico ruolo, siparietto della serenata stornellata dal trio di menestrelli Gazzè, Silvestri e Fabi indicativo dello svenevole degrado attuale pure della musica nostrana. Sarebbe stato sublime un Bisio ch’avesse cantato la sua “Rapput” (1991), ma non indirizzata alla Foglietta bensì al regista stesso, Massimiliano Bruno.
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