Contagious: la recensione di Mauro Lanari
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Contagious: la recensione di Mauro Lanari

Contagious: la recensione di Mauro Lanari

Un genitor’assiste la figlia durante l’agonia di lei, lei viv’in modo drammatico e conflittuale sol’il rapporto col proprio incipiente decesso nel più deferente rispetto vers’il legame affettivo col genitore ch’invece, per ciò stesso, è il vero, unico ed esclusivo responsabile ontologico del suo “Necrovirus”, “malattia mortale” in senso non kierkegaardiano, chiamiamol’allora “morbo dell’esistenza letale e nefasta”. Una tarallucciata ecumenica ignobil’e vergognosa sul destino a cui siamo condannati dal preciso momento in cui c’hanno concepiti, camuffata pure da “zombie-movie” a caccia d’un qualche pubblico che per fortuna non è riuscit’a trovare (ritirato quasi subito dalle sale, ‘sto piagnisteo pilatesco è disponibile in VOD). Nel 3° millennio con una simile aberrante prospettiva su tale tema ancora si vince a Cannes (Moretti, “La stanza del figlio”, 2001) o una nomination agl’Oscar come miglior film straniero (“Alabama Monroe”, 2012-14). Schwarzy svolg’il suo ripugnante compitino da “pater doloroso” per dimostrare d’essere abile e arruolabil’anche per ruol’intimisti, la coprotagonista non so chi sia e non m’interessa saperlo. Per masse di coscienze e corpi al macello. E la chiamano civiltà.

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