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Corpo celeste: la recensione di Silvia Urban

Corpo celeste: la recensione di Silvia Urban

Chi vuol essere cresimato? Non certo Marta, la piccola protagonista del film di Alice Rohrwacher (sorella dell’attrice Alba), accolto con molti applausi a Cannes e già vincitore del premio Città di Roma – Arcobaleno Latino. La domanda iniziale può sembrare una provocazione, ma è il titolo di una delle tante attività che vengono proposte ai giovani cresimandi durante il loro percorso di preparazione al sacramento della Confermazione in una delle tante parrocchie della periferia di Reggio Calabria, dove il film è ambientato. Apparentemente un’altra pellicola sulla Chiesa (dopo Habemus Papam di Nanni Moretti), in realtà Corpo celeste è il tentativo riuscito di fotografare la vita di un’adolescente alla ricerca del proprio posto nel mondo. Una finzione (la storia è inventata) profondamente radicata nella realtà (molte delle situazioni raccontate sono ispirate a fatti realmente accaduti). Flash di vita vera cuciti tra loro in poco più di un’ora e mezza.
Tutta la vicenda è vista attraverso gli occhi di Marta, una tredicenne (ri)trasferitasi insieme alla madre e alla sorella a Reggio Calabria dopo dieci anni vissuti in Svizzera. Dove la Cresima diventa solo il pretesto per seguire da vicino (il film è girato molto a spalla e la camera spesso indugia sui dettagli con piani stretti) la crescita di una bambina che improvvisamente si ritrova in un mondo a lei estraneo, fatto di case costruite a metà, crocevia trafficati, fiumi usati come discariche, preti che fanno propaganda politica per fare carriera, catechiste che cercano di trasmettere la fede servendosi degli stessi mezzi usati dalla televisione e cerimonie sacre che inevitabilmente diventano spettacolo.
Non ci sono criminali né sparatorie, eppure Corpo celeste è un ritratto molto onesto di quell’Italia del Sud che sullo schermo trova spazio solo entro certi cliché. Un film che non intende dare risposte, piuttosto sollevare domande. Le stesse che si pone anche la piccola Marta che, a differenza dei suoi coetanei e dimostrando notevole maturità e senso critico, non si accontenta di adeguarsi alle convenzioni e alle abitudini della società in cui vive, ma vuole cercare di capire e trovare un senso alle esperienze di cui è protagonista o testimone ogni giorno. Marta non parla molto. Preferisce osservare e ascoltare. E lasciare libero lo spettatore di cogliere ed elaborare le immagini che scorrono sullo schermo.

Mi piace
Il ritratto onesto di un’Italia del Sud che difficilmente trova spazio sul grande schermo se non secondo certi clichè narrativi (vedi la piaga della mafia) da cui Alice Rohrwacher si tiene volutamente lontana. Molto interessante la regia.

Non mi piace
La velocità con cui vengono accennate e mostrate certe esperienze e la sorella di Marta: il personaggio meno riuscito

Consigliato a chi
Ha ancora fiducia nel cinema italiano ed è a caccia di opere prime interessanti

Voto
4/5


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