Crimes of the Future: la recensione di loland10
telegram

Crimes of the Future: la recensione di loland10

Crimes of the Future: la recensione di loland10

“Crimes of the future” (id., 2022) è il ventiduesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore canadese David Cronenberg.
Cronenberg ultimo atto che ricorda e non remake un titolo di 50 anni fa.
Si chiude il circolo, si apre il passato per un futuro, presente e poco iconico, non meno squassato e viziato oltre ili dolore.
“Sento la sensazione del dolore”.
Perché il dolore è sorpassato. E l’affermazione (domanda) di Saul pare dimenticata. Reminiscenza infantile o perturbativa corporale. E il piacere sessuale non gira più: “non ricordo …”.
Si annulla tutto di un corpo fino al sesso e il miglior modo per essere contro è il nuovo piacere, tagliare, aprire, sanguinare, cucire, ecc.
Niente sembra come prima ma lo è. Il Cinema vivisezionato,
Chirurgia sperimentale si diceva in una (vecchia) canzone di Lucio Dalla.
‘Fu scaraventato in un palazzo, in un fosso
Non ricordo bene
Poi una storia di catene, bastonate
E chirurgia sperimentale
Com’è profondo il mare’
In un gioco che alla fine di puro horror e fantascientifico c’è poco.
Non si ha paura, non si fa nessun gemito, non ci si compiace del gusto delle viscere, non si percepisce nessun gusto, non si grida a nessun scandalo.
Nemmeno il suo fioco soffocamento, con un cuscino, del proprio figlio rende l’incipit di forza e di grido pieno verso il passo futuro. E nemmeno la plastica rigetta il cibo. Sembra quasi tutto normale. Perché mi sono chiesto …
Semplice, per chi scrive, si vede troppo.
Verbosità piena e buia, parlato inerme e scosso continuo limitano il tutto.
Troppo ogni anche se le partecipazioni attoriali sono sincere e sicure per rendere il tutto di veridicita’ nella finzione.
Un gusto di regia eccelso e chirurgico (come si vede vivamente) che rimangono specchio dello stesso modo di autorappresentarsi.
Il film e la regia, con il set e gli organi vari, sanno di stantio, non per l’odore putrido percepito oltre lo schermo, ma per l’esplicazione evidente senza percepire il retro-gusto pensieroso di un’opera d’arte.
Ecco l’arte cinematografica viene vivisezionata letteralmente per farci entrare dentro, senza poesia e neanche prosa, ma con un linguaggio di leziosità aulica del grande schermo morente e futuribile. Ma l’ancoraggio titolo-soggetto dicono in verità quasi tutto.
Infanticidio e plastica, corpi e organi pulsanti, macchine e umani straziati, fermi-immagini e sedie traballanti, discorsi e lezioni maestre, stesura e chirurgia attesa, ricerca e autopsie scomode, vite e indigeste, nudità e contorni di orecchie. .
Cronenberg è andato oltre il visto per cercare di entrare (o pensare di farlo) nella pellicola tra celluloidi commestibili (per lo spettatore inerme) e digitali imperfetti (per sobbalzi operativi o operazioni tristi)
Viggo Mortensen (Saul): come alter ego anche un elenco telefonico appare pimpante e tetro; Léa Seydoux (Caprice): organicamente assente e viscidamente viva. Il cast ruota in un’oscurità permanente tra set abbandonati e luoghi senza nome.
Regia di D. Cronenberg elasticizzata e ferma, sagacia(mente) fredda.
Voto: 5/10 (**½) -cinema (in) pasto(rale)-

© RIPRODUZIONE RISERVATA