Dallas Buyers Club: la recensione di Marita Toniolo
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Dallas Buyers Club: la recensione di Marita Toniolo

Dallas Buyers Club: la recensione di Marita Toniolo

Ogni riferimento a fatti e persone è assolutamente “reale”. Anni ’80. Ron Woodroof è un vero cowboy. Un macho texano, di professione elettricista, ma con l’hobby delle scommesse sui rodeo. Un “ instant man” che divora come se non ci fosse un domani droga, alcol e donne, da sfrenato epicureo.
Finché la vita non lo sbatte contro un muro, con la scoperta di essere un sieropositivo all’ultimo stadio con ancora soli 30 giorni da vivere. Un ultimatum agghiacciante che dapprima lo stordisce e poi lo fa ribellare a quel verdetto implacabile, convinto fino al midollo – siamo agli inizi della diffusione del virus – che solo un omosessuale possa  contrarre l’AIDS.

Incredulo,  continua strafottente e imperterrito con  il suo stile di vita, ma sta sempre peggio, quindi si affida all’ospedale e ai nuovi farmaci sperimentali che stanno testando su lui e altri malati. Infine, avendo constatato che quei medicinali lo fanno stare peggio, si documenta e sconfina in Messico trovando rimedi più naturali ed efficaci.  Ma non si ferma qui e, fedele al suo spirito da allibratore, inizia un’importazione clandestina dei medicinali non autorizzati per venderli agli altri malati. Fino al colpo di genio: la costituzione del Dallas Buyers Club, che tramite quota d’iscrizione mensile rifornisce  i suoi associati. Un gran bel business, ma che gli impone un braccio di ferro con le autorità.

Da qui in poi la parabola di Ron cambia tono, diventando un percorso di redenzione quasi “ mistico”, che tramite l’immersione nella sofferenza fisica, sua e dei suoi affiliati, lo purifica. Scontrandosi ogni giorno con gli effetti dell’HIV e con l’osceno paradosso di un’industria che dovrebbe curare le malattie e, invece, è malata essa stessa perché persegue il profitto piuttosto che trovare le cure migliori, attinge a qualità dal sapore religioso. In lui cresce, giorno dopo giorno e nel confronto con una massa di persone messe a dura prova dalla malattia, una pietas cristiana e una benevolenza che lo trasforma radicalmente da sgradevole omofobo schiavo degli istinti  primari a “uomo nuovo” compassionevole .

Questo racconto di metamorfosi e parallela critica al sistema capitalista Usa poggia le sue fondamenta sul corpo dimagrito ed emaciato di un sorprendente  Matthew McConaughey e raggiunge i momenti più toccanti nel rapporto con il travestito che diventa suo socio (Jared Leto) e una dottoressa combattuta tra fedeltà all’ospedale e integrità professionale (Jennifer Garner). McConaughey, lungo pedigree di rom-com alle spalle, grazie allo sdoganamento compiuto con Killer Joe e il cameo eccellente in The Wolf of Wall Street, conferma di essere un grandissimo attore e trova in questo film il “ruolo della vita” che potrebbe fargli conquistare l’Oscar. Ed è altamente probabile che accada lo stesso a Leto, adorabile e ammaliante nei panni della queen Rayon, non una presenza accessoria, ma l’acceleratore del processo di sgretolamento dell’omofobia del protagonista.

Con tutta la sofferenza in cui affonda le mani, Dallas Buyers Club avrebbe potuto sconfinare più volte nel sentimentalismo e invece  riesce  nell’impresa di creare un grande pathos che coinvolge intimamente lo spettatore. Con una sobrietà che è merito anche delle immagini essenziali e incisive ottenute grazie a un gran numero di riprese “a spalla”, complici del regista Jean-Marc Vallée nell’aver trovato il giusto equilibrio di un racconto che oscilla tra tenerezza e crudeltà. Un inno alla vita e ai sentimenti che riesce a non scadere nella banalità.

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Mi piace
Le performance di McConaughey e Leto sono di livello assoluto, e la storia non cade mai nella banalità.

Non mi piace
Pur nella loro grandiosità, i due protagonisti rischiano di oscurare gli altri personaggi della storia, catalizzando troppo l’attenzione su di sé.

Consigliato a chi
È in cerca di temi forti e di un film con grandi attori, pronti a rischiare e mettersi in gioco.

Voto: 4/5

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