Una sera alla porta della famiglia Collins si presenta un uomo eccentrico,dai modi fin troppo raffinati e la parlata settecentesca, dice di chiamarsi Barnabas Collins ( Johnny Depp). Peccato che il suo ritratto sia appeso nella sala da pranzo di quella stessa famiglia e che sia morto duecento anni orsono.
Il marchio burtoniano c’è e si vede, la storia fila e diverte, il cast che comprende nomi come Michelle Pfeiffer ( la matriarca Collins) ed Eva Green ( una strabiliante strega) è all’altezza di tutte le aspettative, ma nonostante tutto , Dark Shadows ha qualcosa che non va. E’ commerciale, volutamente commerciale. Basta osservare con più attenzione la sola locandina del film, per rendersi conto del rimando a Twilight.
A partire dal punto di vista estetico, la famiglia Collins ricorda molto da vicino quella dei Cullen e, pian piano che la pellicola va avanti la somiglianza si fa sempre più marcata; stesso look, stesso attaccamento al concetto di famiglia e all’amore vero.
Ispirato ad una serie televisiva degli anni ’60, Dark Shadows è uno di quei film difficili da decifrare. Abituati come siamo a personaggi come il caro Edward mani di forbice o Emily della sposa cadavere, profondi, malinconici e portatori di un’amara lezione di vita, riuscire a credere che Barnabas Collins sia figlio di Burton risulta un po’ difficile. Non è molto chiaro infatti se il regista abbia tentato d’avvicinarsi senza tanto successo al cinema d’intrattenimento, o se tutta la pellicola sia frutto di una scelta ponderata.
Già il solo fatto che l’autore di un capolavoro come Big Fish, abbia deciso di fare un film sui vampiri, proprio nel periodo in cui i non morti la fanno da padrone sul grande schermo e carta stampata, lascia da pensare, se poi ci fermiamo ad osservare meglio l’anima di ogni singolo personaggio il dubbio diventa certezza.
Sono vuoti, spenti, attori, semplicemente attori che recitano una parte. E in questo caso non è la loro prestazione a fare la differenza. Pur trovandosi di fronte ad un ottimo Deep ,che da più di duecento anni è costretto a rifugiarsi nell’oscurità, vista la natura vampiresca a cui la strega Eva Green l’aveva condannato, lo spettatore non riesce ad immedesimarsi nel personaggio come succedeva con i precedenti film, si limita ad osservarlo. Il dolore di Barnabas non si sente, non c’è empatia, solo rappresentazione cinematografica.
Lo stesso finale del film, caratterizzato dal classico scontro buoni Vs cattivi con tanto di distruzione della casa, per niente vicino allo stile del regista, non è altro che l’ennesima prova della voluta commercialità del film. Dark Shadows , fa male ammetterlo, è soltanto un esperimento, un mix di temi commerciali e non che non ha nulla a che vedere con i suoi predecessori.
Speriamo solo che i buoni incassi che il film continua a registrare, servano a dar vita ad un “Frankenweenie” degno di Burtoniana nota.
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