Valentino Liberace (Michael Douglas) è un popolare pianista nell’America a cavallo tra gli anni ’50 e ’70, vive in una splendida villa con piscina arredata in stile “kitsch monumentale” (parole sue), veste con abiti eccentrici e vistose pellicce e indossa enormi anelli di dubbio gusto. Gay non dichiarato, dalla sua vita entrano ed escono uomini più giovani di lui, finchè un giorno incontra Scott Thorson (Matt Damon), un ingenuo ragazzo provinciale e belloccio. E’ il 1977 e Scott rappresenta per Liberace la bellezza e la giovinezza, che ormai in lui stanno sfiorendo; il pianista non tarda a far entrare nella sua vita il biondo adone, facendo di lui il suo amante, il suo aiutante di scena e il suo alter ego, intrecciando con lui una storia d’amore e di morbosa dipendenza durata alcuni anni. Il film non è esattamente una biografia di Liberace, ma piuttosto una riflessione sul rapporto tra due uomini e sulle dinamiche di un amore nato sullo sfondo dello showbiz di fine anni ’70. Prima di Elton John, Madonna e Lady Gaga, Liberace aveva introdotto il culto della propria immagine e un nuovo modo di apparire sul palcoscenico. Amato e osannato dal pubblico, viveva e si comportava in modo esplicito, ma non fece mai outing sulla propria sessualità, nonostante la liberazione sessuale di quegli anni. Dietro i candelabri sfarzosi dei suoi pianoforti, dietro i vestiti esagerati e lo sfarzo da baraccone degli arredi si nascondeva la vita di uomo solo, che indossava parrucchini cotonati, che non esitava a fare ricorso alla chirurgia estetica per perpetrare una parvenza di giovinezza, che metteva sopra ogni cosa il mito della propria immagine. Dietro i candelabri si nascondeva anche la vita di un giovane fagocitato e poi respinto da un mondo che forse non capiva fino in fondo e non gli apparteneva nemmeno. L’amara parabola è inserita in un teatrino di finzione e falsità, fragile come la cartapesta, in cui si muovono personaggi bizzarri, che l’occhio di Soderbergh osserva con ironia per nasconderne l’orrore. Il regista conferma il suo eclettismo anche in questo film per la tv e abbandona per una volta lo stile “intellettuale” e minimal che gli è proprio per una narrazione più convenzionale, ma sorretta da un’abile sceneggiatura. Michael Douglas dà vita ad uno dei ruoli più riusciti della sua carriera: il suo Liberace pieno di moine, sguardi e sorrisi ammiccanti è un pezzo di bravura recitativa. Gli sta dietro un Matt Damon non meno incisivo, che passa con disinvoltura da aitante provincialotto biondo a cotonato mantenuto strafatto.
© RIPRODUZIONE RISERVATADietro i candelabri: la recensione di Stefano Pariani
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