L’insolito personaggio cult rimasto finora alla periferia del mondo Marvel è stato lanciato in orbita per catturare l’attenzione mondiale e rimpinguare il già gonfio portafogli dello studios. Per assolvere la sua missione, Scott Derrickson ha calato diversi assi, avendo fisso davanti agli occhi Nolan come modello sia dal punto di vista visivo sia nella costruzione dell’architettura di un franchise. Se visivamente il film è indubbiamente il più spettacolare di quelli partoriti finora da Feige & Co., plasmando labirinti escheriani, facendo collassare i palazzi e le strade delle metropoli di tutto il mondo alla Inception, va anche detto che il regista di Sinister si è dichiaratamente ispirato a Batman Begins nella realizzazione della sua origin story. Che, narrativamente parlando, è quanto di più classico possa esistere nella sua progressione di presentazione del personaggio, tragica caduta, training, presa di coscienza che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” e scontro con la nemesi di turno.
Con pochissimi gradi di separazione rispetto al suo futuro collega Tony Stark, Stephen Strange è un neochirurgo di fama mondiale, la quintessenza dell’arroganza e della presunzione, egocentrico e avido di successo, amante del lusso e con un discreto spregio per quanto di sentimentale c’è nella vita (come ha capito a sue spese l’ex Christine, interpretata da Rachel McAdams), il quale in seguito a un incidente d’auto che gli danneggia i nervi e i tessuti si trova costretto ad abbandonare il lavoro. Precipitato nella disperazione, dopo aver tentato inutilmente la strada della medicina sperimentale, spende gli ultimi risparmi rimastigli per avventurarsi in Nepal alla ricerca di una cura “alternativa” che possa restituirgli la sua vecchia vita. Sarà ricevuto dall’Antico (Tilda Swinton), uno stregone di origini celtiche che gli proporrà di «riorientare il suo spirito per guarire meglio il suo corpo», proposta alla quale il dottore si ribellerà opponendo il suo cinico raziocinio e venendo sbattuto fuori a calci nel sedere, per poi essere riammesso benevolmente e introdotto alle arti mistiche lungo un percorso cha condurrà Strange a confrontarsi con Kaecilius (Mads Mikkelsen), ex allievo che ha ceduto alle lusinghe dell’oscuro Dormammu, il cui scopo distruttivo è riunire tutte le dimensioni ad un unico piano da lui dominato. Il neo-stregone con la complicità dei maestri Mordo (Chiwetel Ejiofor) e Wong (Benedict Wong) e un piccolo aiuto da parte dell’umana Christine farà di tutto per proteggere la Terra dai piani della maligna entità.
Non stupisce che Steve Ditko & Co. siano stati accusati negli anni ’60 di assumere sostanze psicotrope per illustrare e sceneggiare le tavole di Strange. E Derrickson, che di quelle tavole è stato un vorace trangugiatore, ne ha restituito l’essenza a colpi di CGI, conducendoci in un viaggio lisergico e psichedelico senza precedenti, un caleidoscopio di immagini e colori perfettamente a servizio di quel misticismo che grazie alla controcultura giovanile americana si era diffuso negli anni ’60 e che oggi è tornato alla ribalta grazie ai risultati delle neuroscienze. Il volo che Strange compie attraverso le dimensioni, dopo che l’Antico gli ha spalancato il terzo occhio e aperto la porta astrale, è quanto di più visionario la Marvel abbia prodotto negli ultimi anni. In odore di LSD.
Il 3D, ormai ridotto dal cinema recente a orpello pleonastico, trova in Doctor Strange una preziosa utilità, perché le immagini vengono sviluppate in profondità, proiettandosi verso lo spettatore o all’inverso. E anche per gli spettacolari combattimenti Derrickson ha trovato soluzioni originali, facendo collassare la realtà a piacimento dei protagonisti e quasi annullando i riferimenti spaziali. Per non parlare di quelli cronologici, come quando alla fine il tempo si riavvolge mentre i personaggi agiscono. Da apprezzare anche come abbia cercato di non riprodurre gli estenuanti corpo a corpo degli Avengers, facendo di Doctor Strange un film meno muscolare ma con più cervello, in cui lo scontro finale (che rievoca Il giorno della marmotta) è risolto tramite un’astuzia e non un atto di forza. Un degno finale per lo Sherlock più famoso di sempre.
Benedict Cumberbatch, con quella faccia così diversa da tutte le altre, quella classe inimitabile, è un nuovo eroe di grande carisma. Grazie anche a una sceneggiatura che, oltre a conferirgli un’ironia british che si sposa alla perfezione con la filosofia Marvel, ha il merito di rendere complesso e articolato il suo personaggio. Da una parte c’è il giuramento di Ippocrate che ha pronunciato dall’altra la necessità di uccidere imposta dalla sua lotta contro il Male, da una parte la sua fede scientifica dall’altra le rivelazioni che gli si spalancano grazie alle arti mistiche: contraddizioni che rendono Strange magico e umanissimo allo stesso tempo. Dal suo canto Tilda Swinton, a differenza di quanto ventilato dalle polemiche dei puristi, è perfetta nella sua ambigua androginia come personaggio senza età e senza sesso, e anche Ejiofor e Wong funzionano bene come spalle. Presenze anomale per un blockbuster, che dimostrano quanto sia vincente la strategia di utilizzare attori solitamente impegnati in opere d’autore anche in film d’intrattenimento.
Avrebbe meritato forse più spazio e una miglior caratterizzazione il Kaecilius di Mikkelsen, tra i villain meno memorabili della Marvel finora, ma è chiaro l’obiettivo di Derrickson di catalizzare tutta l’attenzione su Cumbie/Strange nella premessa alla sua saga, per poi giocarsi il “Joker di turno” nel sequel, con l’intento preciso e dichiarato – come dicevamo all’inizio – di emulare l’andamento della trilogia del Cavaliere oscuro.
Per noi è un sì, senza ma e senza se, e il più fantasioso e metafisico dei film partoriti da Marvel, che accende la curiosità sui futuri interventi di Strange in Avengers: Infinity War e Thor: Ragnarok. Un eroe che siamo sicuri saprà ritagliarsi un posto a sé nel pantheon dell’MCU.
Mi piace: l’aspetto visionario e psichedelico reso magnificamente da una regia salda e sicura. L’utilizzo di un attore straordinario come Cumberbatch per un film d’intrattenimento.
Non mi piace: un filo d’ironia in meno avrebbe aumentato lo spessore del personaggio.
Consigliato a chi: è stufo delle zuffe da Avengers ed è in cerca di un cinecomic sui generis
VOTO: 4/5
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