Dolceroma - La recensione
telegram

Dolceroma – La recensione

La prima regia in solitaria di Fabio Resinaro è una commedia nera sul cinema, scombinata ma vitale, che abbraccia le fiamme dell'inferno. Con uno scatenato Luca Barbareschi, produttore megalomane e cialtrone

Dolceroma – La recensione

La prima regia in solitaria di Fabio Resinaro è una commedia nera sul cinema, scombinata ma vitale, che abbraccia le fiamme dell'inferno. Con uno scatenato Luca Barbareschi, produttore megalomane e cialtrone

Dolceroma: la recensione
PANORAMICA
Regia (3)
Sceneggiatura (2.5)
Interpretazioni (3.5)
Fotografia (2.5)
Montaggio (3.5)
Effetti speciali (2)

Andrea Serrano (Lorenzo Richelmy) è un aspirante scrittore che lavora in un obitorio per mantenersi e aspetta l’occasione della sua vita. Gli arriva quando un produttore cinematografico scafato, Oscar Martello (Luca Barbareschi), gli propone di portare sul grande schermo il suo romanzo Non finisce qui. Il regista designato (Luca Vecchi) è però pretenzioso e incompetente (una sorta di Tarkovskij dei poveri), l’attrice protagonista, Jacaranda Ponti (Valentina Bellé), schiava delle sue fragilità e il risultato finale a dir poco disastroso. Urge correre ai ripari con la campagna di lancio del film…

Dolceroma, primo film diretto in solitaria da Fabio Resinaro, già dietro la macchina da presa in coppia con Fabio Guaglione per True Love, Mine e Ride, è un’operazione che gioca a carte scoperte col cinema e col suo lato più viscido e luciferino, incarnato senza freni inibitori da un Luca Barbareschi scatenato e fuori controllo. Il suo Martello, proprietario della Incudine Film e vero protagonista di un intreccio al fulmicotone, è un personaggio bigger than life in cui l’attore, anche produttore con la sua Eliseo Cinema, ha riversato una schizofrenia irresistibile e caricaturale che pare pensata su misura per lui, per le sue intemperanze pubbliche e per la sua personalità istrionica.

Martello non ha mai letto un libro, ma a suo dire conosce alla perfezione gli uomini e le e donne e i loro bisogni. La sua megalomania ridicola e cialtrona è il pretesto per uno squinternato viaggio nelle macerie del cinema italiano (leggasi: romano) dai contorni esilaranti e parodici, in cui cartoon, fumetto e graphic novel s’inseguono e si fondono selvaggiamente e senza soluzione di continuità. C’è una fonte letteraria, il romanzo Dormiremo da vecchi di Pino Corrias, usato molto liberamente. Ma a Resinaro interessa soprattutto il dispositivo di un film fallimentare, che gli permette di incrociare bizzarrie noir e finti rapimenti, camorristi e piani sequenza (per fortuna solo immaginati) che partono dal Monte Bianco e approdano su capezzoli femminili.

C’è tanto di slabbrato e altrettanto di sboccato, all’interno di Dolceroma: un film curioso e liberatorio nelle sue intemperanze, nell’anacronismo di un cinema che si nutre solo e soltanto di cinema e del suo riflesso più misero, in una sorta di trip al veleno per topi. Come se una puntata di Boris e la sua impietosa e irresistibile satira si arricchissero di un gusto marcato per il trash più pirotecnico, per degli effetti speciali volutamente sgarrupati e per l’assenza di ogni bon ton tanto narrativo quanto estetico, come il prologo chiarisce fin da subito.

Il senso dell’operazione, di grande ambizione ma in parte difettosa di un’autoironia che non avrebbe affatto guastato, non sta sicuramente né nella tattica né nella bellezza, per parafrasare il Martello di Barbareschi, che vengono costantemente sindacate, negate e messe in discussione dallo sguardo funambolico e incendiario di Resinaro, sceneggiatore unico e autore del soggetto insieme a Fausto Brizzi (anche story editor, regista di seconda unità e chissà che altro).

Risiede, piuttosto, nel rischio inebriante di azzardare l’assurdo e ipotizzare per davvero gli scorpioni sotto ai cuscini, nel piacere sadico e masochista di offrire allo spettatore un’orgia di caricature sgradevoli e sopra le righe nella quale i bagni total body in un’enorme vasca di miele possono coesistere senza colpo ferire con le katane giapponesi. Per fare, perfino del cinema italiano industriale e commerciale, un’oasi dell’inverosimile pronta ad abbracciare le fiamme dell’inferno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA