Dove eravamo rimasti: la recensione di Fiaba Di Martino
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Dove eravamo rimasti: la recensione di Fiaba Di Martino

Dove eravamo rimasti: la recensione di Fiaba Di Martino

Rocker fallita ma instancabile, la grinta da artista consumata sul palco e la rassegnazione incerta dietro la cassa di un supermercato, Ricki – nome d’arte, quello vero è Linda – ha costruito la propria vita su un equilibrio magari sbrindellato, ma che la tiene al sicuro, e dove soprattutto l’amore va lasciato sottotraccia. Le cose cambiano quando l’ex marito lontano le comunica che la loro figlia è caduta in depressione in seguito alla fine del suo matrimonio, sul quale aveva investito tutto. Ricki dovrà così affrontare un rapporto (e poi altri due, e tre) lasciato in sospeso e rattopparne i buchi come può.

Su carta, Dove eravamo rimasti offriva una varietà di spunti non originali ma quantomeno con un potenziale d’interesse non indifferente: l’incapacità di perdonare una donna che non vuole prima di tutto essere madre (“Non potevi avere due sogni“, le dice a un certo punto Pete/Kevin Kline), lo scontro con una figlia che è il suo opposto e la sua nemesi, la fragilità intrinseca di una solitudine che inizia a stare troppo stretta, la libertà nella musica, la frattura generazionale. Spunti che tuttavia rimangono tali, appunto su (sottilissima) carta: alla sua quarta sceneggiatura per il cinema, dopo il fresco Juno e i deludenti Jennifer’s Body e Young Adult, Diablo Cody dimostra come la fortuna dell’abbagliante esordio fosse tutta nello slancio d’istintuale autenticità.

Dove eravamo rimasti pecca d’approssimazione frettolosa, accumulando situazioni sbandierate e poi accantonate (come l’astio rancoroso di Julie verso la madre), oppure risolte con piccole agnizioni senza fondamento. L’alone di superficialità e difficoltà ad andare oltre, ad andare dentro, permea l’intero film, la cui struttura scricchiolante si riempie di informazioni sui personaggi, privandoli di un’essenza e di uno scavo introspettivo, pasticciando con la narrazione e i suoi sviluppi. La regia di Jonathan Demme segue con piattezza e ordinaria amministrazione una storia senza guizzi, che nemmeno la verve, il carisma e l’intensità protratta di Meryl Streep riescono a tenere a galla (e sono, anzi, sprecate).

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace: La chimica fra madre e figlia, i pezzi musicali
Non mi piace: La superficialità del tratteggio dei personaggi e dello svolgimento.
Consigliato a: A chi ama appassionatamente Meryl Streep, il rock e Bruce Springsteen.

Voto: 2/5

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