Drive è un’esperienza visiva che lascia il segno. È un gioco di luci e sguardi ed è ritmo allo stato puro nella perfetta armonia che si stabilisce tra sequenze e musica. Per questo è così difficile rendere a parole l’essenza del film, in cui il regista sceglie di comunicare per immagini e suoni più che attraverso il dialogo. Lo si intuisce innanzitutto dalla storia d’amore che coinvolge Driver (Ryan Gosling) e Irene (Carey Mulligan), fatta di gesti e silenzi che si sostituiscono all’inarrestabile fiumana di zuccheri che così spesso caratterizza le confessioni d’amore di stampo cinematografico. E qui emerge un altro concetto chiave che definisce la qualità artistica di Drive: l’onesta messa in scena dello squilibrio e della crudeltà che dominano il reale, nonostante l’uomo non si rassegni nel suo tentativo di esorcizzare il lato oscuro della quotidianità.
L’uomo è in sé un contrasto vivente e ciò viene rappresentato con consapevolezza e intelligenza dal regista di Drive, Nicolas Winding Refn: nello specifico, Driver è l’incarnazione del compromesso tra opposti che in realtà non finiscono mai di scontrarsi e, soprattutto, è paradigma universale dell’anatomia interiore dell’uomo. Per chiarire quest’ultimo concetto è sufficiente prendere in considerazione il nome del protagonista, Driver, che significa “conducente”: si tratta quindi di un nome che, identificando il singolo con la sua professione, ne definisce l’anonimato e l’universalità. Driver racchiude, perciò, in sé tanto la possibilità di amare nel senso più vero del termine (basti pensare al suo rapporto con Irene e col figlio di lei, Benicio, interpretato da Kaden Leos), quanto l’essere disposto a tutto per proteggere chi gli sta a cuore, giungendo persino a uccidere nel modo più bestiale e cruento possibile. La cosa interessante è che questo tipo di violenza, così estremamente distruttiva e annientante, sfocia dallo sguardo gentile di un ragazzo dal passato sconosciuto, un lupo solitario, riservato e dotato di un eccellente equilibrio e autocontrollo: complice l’inconfutabile bravura di Ryan Gosling, Driver passa da uno sguardo di protezione quasi paterna nei confronti di Benicio, che ha appena assistito al pestaggio del padre da parte di alcuni pregiudicati, ad un’esplosione di violenza primordiale che lo porta a picchiare a sangue l’inviato del mafioso Nino (Ron Perlman), sotto gli occhi di Irene che non sa più dove guardare per la quantità di sangue che ridipinge a nuovo le pareti dell’ascensore in cui si svolge la scena. Questa, a mio parere, è l’intuizione geniale e sconvolgente di Refn, una rivelazione che ci attrae e spaventa al contempo: ovvero, il fatto che Driver metta in pratica quello che è in potenza in ciascuno di noi.
Essendo Driver l’incarnazione del contrasto straziante tra lirismo e dramma, egli non può tuttavia limitarsi ad essere espressione universale della natura umana e diventa perciò anche manifestazione di eccezionalità, seguendo alla lettera le parole della canzone A real hero dei College feat. Electric Youth, “A real human being, And a real hero”. Proprio un eroe risulta essere Driver alla fine della storia, al di là delle sue esplosioni di rabbiosa bestialità, della sua sete di vendetta e di “giustizia privata”… O forse proprio per questo.