Drive: la recensione di Gabriele Ferrari
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Drive: la recensione di Gabriele Ferrari

Drive: la recensione di Gabriele Ferrari

La cosa più complicata di Drive è spiegarlo a chi non l’ha visto.
L’ottavo film dell’enfant prodige danese Nicolas Winding Refn riprende e attualizza una serie di classici del thriller urbano, da Bullitt a Strade Violente, mettendo in scena una versione moderna (nello stile) e insieme classica (nei meccanismi narrativi) del noir di chandleriana memoria.
Premesso questo, se avete un amico che impazzisce per i virtuosismi dietro la macchina da presa, avete trovato il compagno ideale da trascinarvi in sala. Non c’è una scena in Drive in cui la regia di Refn non tiri fuori un coniglio dal cappello, tra citazioni a corto raggio (Old Boy) e invenzioni vere e proprie: l’uso “espressivo” dell’illuminazione, che compensa i silenzi del protagonista, è clamoroso.
Ma il film farà anche la felicità dei fan dell’ultraviolenza – se volete citate pure Tarantino per far voltare qualche testa, ma non c’entra nulla – e delle gangster story che non fanno sconti: perché ci sono, in Drive, momenti letteralmente crudeli.
E ancora, dovreste riuscire senza grossi sforzi a far felice persino la vostra fidanzata. Non solo perché Driver, il personaggio principale, ha la sguardo di Ryan Gosling, nuovo oggetto dei desideri di Hollywood. Ma in generale per la copiosa dose di romanticismo che permea il film. La storia d’amore tra Driver e Irene (Carey Mulligan, in un ruolo puramente iconografico) è fatta di silenzi, sguardi timidi e mani che si cercano sulla manopola del cambio. Un’alchimia fatta di dettagli.
Ma sarebbe sbagliato smontare Drive come fosse un orologio di cui studiare i meccanismi. Perché, sarà banale da dire, il tutto vale più della somma delle singole parti. Più delle difficilmente dimenticabili prestazioni del cast di supporto, da Bryan Cranston (a cui Breaking Bad ha regalato una seconda, gloriosa giovinezza) ad Albert Brooks e Ron Perlman. Più della colonna sonora retrofuturistica, con band moderne più o meno sconosciute che si dedicano alla rivisitazione del synthpop anni Ottanta. Più del font rosa shocking dei titoli di testa, ovvero il tipo di dettaglio tanto studiato da assurgere a simbolo stesso del film. Più di quello che si possa analizzare, studiare, descrivere: perché Drive, non si sa bene come, riesce a essere un calcio in faccia pur essendo semplice e romantico come una vecchia ballata.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
La classe con cui Refn trasforma una storia semplice in un’esperienza emotiva indimenticabile

Non mi piace
Difficile trovare qualcosa da contestare a Drive

Consigliato a chi
Ai romantici, agli amanti dell’action, ai cinefili… a tutti

Voto: 5/5

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