La sua ultima fatica Christopher Nolan la dedica a una storia vera e non delude. Dunkirk racconta della cosiddetta Operazione Dynamo con cui, nel maggio del 1940, il governo britannico portò in salvo oltre 300˙000 soldati assediati sulla costa francese dai nazisti. Un’operazione disperata andata a buon fine grazie all’intervento della popolazione civile britannica che mise a disposizione le proprie barche per andare a recuperare i soldati assiepati da giorni a Dunkerque.
Nolan ci trascina tra le vaste distese di terra e di mare del nord della Francia seguendo i volti spigolosi e gli sguardi stremati dei soldati, in una ricerca senza sosta della salvezza e in un’attesa snervante che sembra senza fine, e confeziona un film storicamente accurato, ma anche emozionante ed elegante e completamente immersivo. Dunkirk non è un film di guerra, ma è un film di sopravvivenza e di esseri umani. Il nemico nazista non si vede mai, ma è una presenza costante e minacciosa sulla terra, nel mare e nel cielo, i tre luoghi in cui si sviluppa il film e che riflettono le tre linee temporali in cui si muovono i protagonisti. Una settimana al molo tra i soldati che aspettano di essere evacuati, una giornata in mare a bordo della Moonstone di Mr. Dawson e un’ora in aria a bordo di due Spitfire.
Il grande merito di Dunkirk arriva dalla tecnica. Alla fotografia fredda come il vento del nord di Hoyte Van Hoytema e alle inquadrature vaste e profonde si uniscono la martellante colonna sonora di Hans Zimmer e un montaggio sonoro da brividi che rendono l’esperienza del film totalmente immersiva. Per tutti i 106 minuti del film è lo spettatore ad attendere un passaggio verso la madrepatria, ad andare in soccorso ai soldati ammassati sulla spiaggia, a sorvolare il mare a bordo di uno Spitfire. Le quasi due ore del film volano via al ritmo della nostra tachicardia e ci regalano un gioco a incastri tra le tre linee temporali che lascia il piacere di scoprire pezzo dopo pezzo come le storie dei personaggi si intreccino. Con il rumore delle bombe nelle orecchie, il cuore in gola e la sensazione di claustrofobia dell’acqua che si chiude su migliaia di corpi, quasi abbassiamo anche noi la testa o scrutiamo il mare alla ricerca di una nave amica e quindi di una flebile speranza di tornare a casa.
Con i suoi dialoghi scarni ed essenziali, Dunkirk è un ritratto accurato e senza fronzoli dei giorni infiniti della ritirata da Dunkerque che non eccede in patriottismo retorico o autocelebrazione (se non forse nel finale del personaggio di Tom Hardy). L’immedesimazione e il senso di ansia sono dati più dalla tecnica che dalla narrazione canonica in sé. I personaggi, infatti, sono molti ma nessuno è realmente protagonista e non se ne conosce la storia passata, conta solo il presente. Questa è una scelta vincente poiché quella di Dunkirk è una storia di “molti” e non di “pochi”. I personaggi si elevano a rappresentanti di tutte quelle migliaia di soldati e di civili che hanno avuto un ruolo nell’evacuazione: una galleria di volti che raccontano la loro storia senza farlo esplicitamente. Pur non essendo approfonditamente definiti i personaggi di Nolan lasciano comunque un segno profondo, merito anche di un cast che definire d’eccezione è riduttivo. Ai giovani Fionn Whitehead, Aneurin Barnard e Harry Styles, che a dispetto di tutti i pregiudizi a cui è andato incontro se la cava bene, si aggiungono alcuni mostri sacri della recitazione britannica come Kenneth Branagh e Mark Rylance.A completare il cast anche Jack Lowden, Tom Hardy e Cillian Murphy.
Erano vent’anni che Christopher Nolan aveva intenzione di portare al cinema un film sulla ritirata di Dunkerque e lo ha fatto egregiamente dimostrando come sempre maturità, estrema padronanza del mezzo cinematografico e cura stilistica. Dunkirk è destinato a restare nella storia del cinema e sicuramente a sbancare nella prossima stagione dei premi. Quasi due ore di tensione, di angoscia di claustrofobia che esplodono poi nel sollievo della salvezza e della sopravvivenza. “E ti sembra poco?”