Non c’è niente da fare, io adoro Nolan.
Lungi dal dichiararlo il Dio della macchina da presa, perché non è perfetto, né immune all’errore, trovo che sia uno dei più grandi narratori dei nostri tempi. Ha un modo di fare cinema che riesce a colpirmi e innamorarmi sempre.
Quello di Dunkirk è sicuramente un Nolan diverso da quello a cui ci siamo abituati negli ultimi anni ed è un qualcosa che, per quanto mi riguarda, ha reso la curiosità e l’attesa ancora maggiori perché, se c’è un’altra cosa che apprezzo del regista inglese è la sua voglia di esplorare campi diversi e non imprigionare il suo nome tra barriere di genere.
Un Nolan che ha scelto come sceneggiatura un pezzo di storia. Siamo nel 1940, in piena seconda guerra mondiale e circa 400.000 alleati rimangono accerchiati sulla spiaggia di Dunkerque, in Francia, sotto incessante attacco nemico. L’unica scelta tattica possibile, è la ritirata.
Lo abbiamo pensato un po’ tutti, con una sceneggiatura simile, Christopher Nolan punta all’Oscar. Non è certo l’ultimo degli scemi e sa come colpire la sensibilità di quelli snobboni dell’Academy. Si è ormai sufficientemente temprato, ha avuto le sue soddisfazioni, si è fatto strada tra i “grandi”, è bravo e ne è consapevole, i tempi sono maturi per dei dovuti e meritati riconoscimenti.
Certo è che, col suo lavoro, ha davvero ottime possibilità di farcela. Non perché ha fatto l’ennesimo film sulla guerra, ma per come lo ha fatto.
Ancora una volta e nonostante la rigidezza dei fatti storici, riesce a dare alla regia la sua impronta caratteristica e inconfondibile, manipolando il tempo scenico alla propria maniera.
Fornisce la chiave di lettura allo spettatore a inizio del film, nel quale poi subito piani temporali, storie e uomini cominciano a intrecciarsi, in un’opera corale che vede una molteplicità di protagonisti, accomunati solo dalla stessa angoscia, trasmessa allo spettatore dalle note di Zimmer, la cui musica è la sola cosa che procede linearmente, incurante del periodare apparentemente disordinato del suo collaboratore. Insieme costringono il pubblico alla totale concentrazione, per non uscire dalla sala fregato dall’unico vero rischio in cui si incorre andando a vedere un film di Nolan: non capire.
Non uno ma tanti protagonisti, tutti eccellenti. La grandezza di Nolan trova sempre espressione anche nella scelta del cast, avente come requisito fondamentale il talento vero. Troviamo volti nuovi come Jack Lowden, Fionn Whitehead e il fin troppo discusso Harry Styles, della band inglese One Direction, del quale è presto per dire se abbia un futuro nel mondo del cinema, ma del quale di sicuro possiamo apprezzare la voglia di crescere e di rischiare. Nuove collaborazioni con due straordinari Kenneth Branagh e Mark Rylance, premio Oscar per Il Ponte delle Spie. E infine collaborazioni rinnovate:ritroviamo Cillian Murphy e Tom Hardy, ancora una volta col volto coperto. Perché, si sono domandati in tanti ridendo. Il fatto è che la capacità recitativa richiesta per dare vita ad un personaggio celato da una maschera è immensa e Tom Hardy, è uno dei pochi che veramente può permettersi tutti i primi piani che Nolan gli riserva, in cui l’emozione può avere sfogo e espressione solo negli occhi.
Dunkirk è stato definito da tanti un capolavoro ed è un giudizio che non si può contrastare. Ha reso un tema classico del cinema un’opera diversa e personale, costruita con immagini di una tale bellezza e potenza che non solo già ipotecano l’Oscar per la fotografia, ma fanno crescere profonda l’invidia per quel magico mondo che è il cervello di Nolan.