Nolan senior ricicl’il tema barocco del “memento mori” e della “vanitas”, l’esser’umano in mezz’al teschio della mortalità da un lato e alla sabbia della clessidra con l’inesorabile fluire del tempo dall’altro. Il nemico è invisibil’e innominato poiché onnipervasivo, ubiquitario, famigerato, antichissimo: oltre 300mila soldati s’una spiaggia fra la sabbia sott’i piedi e la sabbia di Kronos nell’attes’afona e inerme di venir’imbarcati mentr’il bombardamento aereo li falcidia. L’esercito anglofrancese è inquadrato di schiena, artificio per estender’il significato dal caso particolare alla condizion’universale dell'”ecce homo”, com’in “Elephant” (2003) di Van Sant, com’il Buster Keaton beckettiano di “Film” (1964). Foss’un dipinto, non ci sarebbe nulla d’aggiungere dopo tal’incipit che trasla dalla 1a alla 2a GM il pensiero ungarettiano: “si sta come di primavera 1940 sul bagnasciug’a Dunquerque”. Non granché innovativo. Però Nolan è un regista che si cimenta con l’immagine-movimento e colma 106 minuti di filosofemi bislacchi. 3 spazi e 3 tempi: i 4 elementi presocratici sono trattati contro la tradizione biblica (qui è il fuoco ch’assume il ruolo di 4° elemento e un ruolo di distruzione, mentr’in Elia 1Re 19, 11-12 il 4° elemento è per esclusione l’acqua), e i 3 tempi indicano non la gabbia oggettiva delle 3 estensioni cronologiche, bensì un diverso livello di scala per quella bergsoniana percezione soggettiva che caratterizza buona parte della sua filmografia (Adriano Sofri: “I decenni volano, sono certi pomeriggi che non passano mai”). È una peculiarità del nichilismo postmoderno: si viv’il “carpe diem” immanentista ch’annienta svalutandoli tant’il futuro quant’il passato mentre risparmia col suo “presentismo” solo l'”hic et nunc” in cui si colloca l’attuale soggettività. Lo stratagemma delle riprese di spalle è ripetuto coi volti d’alcuni protagonisti nascosti dalla maschera o dal gasolio, il ticchettio dell’orologio è esteso all’intera colonna sonora, ulteriore lampo d’originalità da bergmaniano rubinetto gocciolante. L’illusori’armonia infinita della scala di Shepard è paccottiglia che si sperava caduta nell’oblio dopo la sbornia con l’Hofstadter di “G.E.B.” (1979). “Dunkirk” si propone com’un “survival movie” già dalla tagline: ulterior’elemento del nichilismo postmoderno, quello di declassare il desiderio di vivere alla sopravvivenza fin’a se stessa. Transeat sulla madornale contraddizione ch’i 140mila francesi furono subito rimpatriati e moriron’o vennero catturati e deportati tutti di lì a poche settimane. Il budget della pellicola è da blockbuster, 100 milioni di dollari, megl’assicurarsi un epilogo ch’abbandoni le pretese d’autorialità per un diverso tipo di retorica: lo sciovinismo. Dalla denuncia della Grande Mietitrice al manicheo “buoni vs. cattivi”.
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