Al Festival di Roma, dove il film è stato presentato, c’è stato un vero e proprio “caso Paolo Franchi”. E la chiamano estate, infatti, ha creato un clima da bar durante la proiezione stampa della rassegna romana – risate e urla comprese, senza ricevere molto apprezzamento in più a quella per il pubblico. E tuttavia il film alla fine ha vinto due premi. Franchi è da sempre interessato alla sessualità e alla psicoanalisi, e infatti in E la chiamano estate c’è molto sesso e molta psicoanalisi. La storia assomiglia pericolosamente a Shame: un uomo (Jean-Marc Barr: abbastanza misteriosa la scelta di far interpretare a un francese un personaggio italiano e poi doppiarlo) non riesce ad avere rapporti con la donna di cui è innamorato (Isabella Ferrari), e per esorcizzare il problema fa visita agli ex fidanzati di lei (uno dei quali è interpretato da Luca Argentero). Tutte le notti, inoltre, frequenta prostitute e locali per scambisti, dove riesce a dare sfogo alla sua virilità. E soffre, si lagna, si incazza.
Purtroppo l’espressione di questo disagio in termini di dialoghi e voce fuori campo (una lettera d’addio, che presagisce fin dal prologo l’epilogo tragico, torna continuamente in forma di cantilena) è talmente goffa e ripetitiva che ben presto il dramma diventa grottesco, e poi parodia. Non ci si può fare assolutamente niente. Franchi non riesce a comunicare quel che ha in testa e che evidentemente lo spinge a girare: è molto chiaro anche durante le conferenze stampa – qui a Roma ha detto che la sua opera è per uno spettatore su 100: qualcuno gli spieghi che il cinema non funziona così – e farebbe meglio a far scrivere i suoi film a qualcun altro, perché invece ad usare la macchina da presa è molto bravo.
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Mi piace
La regia è ricercata, ed efficace nel comunicare il disagio del protagonista.
Non mi piace
Il tono del film è troppo lugubre, la recitazione eccessivamente carica, i dialoghi ridicoli: il dramma diventa in fretta una farsa
Consigliato a chi
A chi ama il cinema dell’introspezione e del disagio
Voto: 1/5
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