Isidoro (Nicola Nocella), chiamato da tutti Isi (come l’easy del titolo) è un ragazzone allampanato e sovrappeso che ha alle spalle diversi premi automobilistici. Si è ritrovato a un passo dal gareggiare in Formula 1, ma poi la depressione l’ha inghiottito, con tanto di dipendenza da psicofarmaci e un presente fatto di silenzi, solitudine, playstation. Il fratello (Libero De Rienzo) riesce però a convincerlo, in modo tutt’altro che ortodosso, a mettersi a bordo di un carro funebre per riportare in Ucraina la salma di un operaio morto in un incidente sul lavoro nel cantiere che lui stesso dirige.
Quando si parla di attenzione all’immagine, il cinema italiano spesso sventola bandiera bianca, esibendo troppo di frequente approssimazione o studiata sciatteria. Fa eccezione Easy – Un viaggio facile facile, sorprendente esordio del riminese Andrea Magnani (documentarista e sceneggiatore in tv del popolare L’ispettore Coliandro), che ricorre a immagini curate e dal notevole impatto panoramico per dare forma a un mondo e a uno stato d’animo, non certo per fare vuota esposizione del proprio talento.
Easy, presentato con buon successo critico allo scorso Locarno Festival, è un prodotto insolito e stralunato, avaro di materiale narrativo vero e proprio ma dotato di un protagonista eccezionale e di una coerente e consapevole idea di regia, perfettamente idonea a ciò che si vuole raccontare: un’Odissea buffa e poetica, piena di grazia surreale e di comicità straniante, immersa nell’estrema periferia dell’Est europa non a certo a caso. È infatti un film di confini, Easy, un western vero e proprio come lo girerebbe il regista finlandese Aki Kaurismäki, maestro di questo tipo di atmosfere, se decidesse di riprodurre John Ford in una miniatura prossima alla parodia, con tanto di cassa da morto al seguito come in Django di Corbucci.
Non importa più di tanto dunque, in questo caso, se la sceneggiatura non è poi impeccabile per ritmo e per gestione dei pieni e dei vuoti del racconto, né se gli sketch non sono sempre ispirati, perché a riempire praticamente ogni inquadratura c’è il faccione dell’ottimo Nocella, già interprete de Il figlio più piccolo di Pupi Avati. La sua è una recitazione di spaventosa efficacia, tutta metodo e sottrazione, e il risultato una maschera infantile eppure con dei tratti angosciosi, frutto anche dell’abnegazione borderline dell’attore, che ha preso 20 chili in più per il ruolo. Per non parlare del barbone gigantesco con cui inizia la traversata dall’Europa occidentale a quella orientale e di quegli occhi sempre sgranati e inebetiti, simili a quelli di un cartone animato costretto a scrutare il peggiore dei suoi incubi.
Easy, tra le altre cose, ha soprattutto il dono di gestire benissimo i momenti di silenzio, caricandoli di senso e di lampi poetici tanto goffi quanto inaspettati (e proprio per questo illuminanti), che fanno breccia nel cuore prima che nella mente come degli spari sordi. Non è comune, in fondo, imbattersi in un film che abbia il coraggio così sfacciato di chiudersi con un punto di domanda, lasciando nelle mani del proprio protagonista, cavaliere errante in terra straniera, la responsabilità di un futuro tutto da scrivere, apice di un on the road che salva la vita.
Mi piace: la regia e il lavoro sulle immagini
Non mi piace: le debolezze di scrittura
Consigliato a: chi va in cerca di un cinema italiano magari stralunato ma originale e vitale
Voto: 3/5
© RIPRODUZIONE RISERVATA