Era ora: Edoardo Leo va avanti di un anno ogni giorno nel nuovo film Netflix. La recensione
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Era ora: Edoardo Leo va avanti di un anno ogni giorno nel nuovo film Netflix. La recensione

Il film di Alessandro Aronadio è, secondo i dati che Netflix diffonde ogni settimana nella notte tra il martedì e il mercoledì, il film non in lingua inglese più visto al mondo sulla piattaforma streaming, con 11 milioni e 550mila ore di visualizzazione in 44 paesi

Era ora: Edoardo Leo va avanti di un anno ogni giorno nel nuovo film Netflix. La recensione

Il film di Alessandro Aronadio è, secondo i dati che Netflix diffonde ogni settimana nella notte tra il martedì e il mercoledì, il film non in lingua inglese più visto al mondo sulla piattaforma streaming, con 11 milioni e 550mila ore di visualizzazione in 44 paesi

Era ora
PANORAMICA
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora

Dante (Edoardo Leo) è fidanzato con Alice (Barbara Ronchi) e sono molto innamorati. Dante trascorre le sue giornate barcamenandosi tra mille impegni e il tempo a disposizione non è mai abbastanza. Tanto da non riuscire ad arrivare in orario neppure il giorno del suo quarantesimo compleanno. Secondo la sua filosofia di vita, lavorando abbastanza oggi riuscirà a comprarsi un po’ di tempo in futuro. 

La sua vita, però, subirà un’improvvisa e inspiegabile accelerata. Un giorno, infatti, Dante si sveglierà e realizzerà di essere stato catapultato in incubo. Il tempo passa troppo velocemente e lui non riesce a capirne il motivo né tanto meno a bloccare il corso degli eventi. Tutt’a un tratto si ritrova avanti negli anni, poi padre…

Diretto da Alessandro Aronadio, regista di una commedia strampalata e singolare come Orecchie ma anche cineasta e sceneggiatore più di sistema (tra i copioni da lui firmati Classe Z, Gli uomini d’oro e Ritorno al crimine), torna a dirigere Edoardo Leo dopo la commedia sull’egolatria della contemporaneità Io c’è, puntando con Era ora sul rifacimento di un film australiano, Come se non ci fosse un domani – Long Story Short di Josh Lawson, tutto basato su un loop temporale di difficile risoluzione, strettamente analogo alla sorte del Phil Connors di Bill Murray in Ricomincio da capo. 

La storia di uno stakanovista che va sempre di fretta e si accorge che ogni giorno, a ogni traumatico risveglio, la sua esistenza è andata avanti di un anno, dovendo tentare per forza di cose di arrestare questo meccanismo, è il pretesto ideale per sondare idiosincrasie e inceppamenti che oggi, in rapporto alla gestione individuale del tempo, investono tanto le relazioni di coppia quanto le dinamiche lavorative e l’equilibrio psico-fisico di ognuno di noi, con una centralità del tema che ha acquisito particolare rilevanza anche nell’agenda del dibattito corrente. 

Il personaggio di Leo, attore ormai paradigmatico dell’homo italicus orgogliosamente qualunque del nostro presente, è un uomo sempre oberato di grandi impegni e piccolezze solo in apparenza irrilevanti che, affastellandosi una accanto all’altra, ingolfano le sue giornate e gli impediscono di godersi perfino il pancake della colazione. Si tratta dunque di una figura maschile fragile e tragicomica, proprio per via di questa sua goffaggine travestita da iperattività, ed è un motore comico in virtù del quale si sorride sulle peripezie di un workaholic che alla fine della fiera non è altro che l’ennesimo travet della nostra tradizione.

L’ingranaggio della scrittura, pur mancando di momenti espressamente strappa-risate e tenendo una linea a suo modo sofisticata e misurata che non esce mai da un solco prestabilito, è complessivamente efficace, specie per la capacità di dosare disvelamenti e riconoscimenti: dal nome della figlia dato “a sua insaputa” (Galadriel, omaggio a Il Signore degli Anelli) alla promozione in ufficio, passando per questioni più grosse e spinose. 

Il tutto in un susseguirsi di compleanni vissuti pericolosamente e sul filo – sempre destabilizzante – dell’incoscienza, che lo portano a saltare a pie’ pari gli anni dal 2010 al 2019, perdendosi gli avanzamenti tecnologici vertiginosi del decennio come Instagram e Tinder (lui dopotutto, social a parte, è uno di quelli che pensa che alla figlia neonata vada ancora tassativamente promesso il motorino che le regalerà da adolescente) e arrivando alle soglie dei suoi 40 anni. 

Anche l’economia di battute e umorismo segue lo stesso tracciato, giocando molto col faccione stolido e tramortito di Leo, col suo candore ora attonito ora atterrito, e inventandosi anche delle situazioni divertenti anche se deliberatamente dolenti, come la sequenza della terapia di coppia “sul drammatizzare le emozioni” fino a farne una scultura, con epilogo da gioco dei mimi e cameo del giornalista Andrea Purgatori nei panni del terapeuta dalla voce ovviamente profonda e stentorea (anche se la nonchalance con cui la sceneggiatura parla di continuo di bipolarismo e schizofrenia, brandendoli come categorie comportamentali piuttosto all’acqua di rose che come disturbi mentali, non è certo il massimo). 

Ne viene fuori un modello di commedia senz’altro di compromesso rispetto a prodotti esteri ampiamente collaudati, ma rappresentativo, al contempo, di un’alternativa possibile – più minuziosa, più laterale – rispetto a quelle elaborate dal sistema del cinema italiano con sfrontata e immemore coazione a ripetere  di volti e storie (l’ultima mezz’ora fa fare evidentemente a tutto il film un innegabile salto di qualità, in termini di malinconia agrodolce quando non addirittura di amarezza pura e semplice). Si veda in particolare, a tal proposito, il personaggio del migliore amico di Dante, Valerio, interpretato da Mario Sgueglia: un carattere personaggio stropicciato e narcotizzato nelle sue schiette ma non per questo non solari consapevolezze, con un timbro esistenzialista che si vede di rado nei nostri film comici mainstream.

Foto: BiM Production, Palomar, Vision Distribution

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