La carriera di Andrew Haigh, autore britannico che continua a muoversi tra i territori della settima arte e della televisione, senza rifiutare l’una rispetto all’altra, si compone di tasselli più o meno di estrazione fortemente indipendente, dalla quale è forse uscito maggiormente con gli ultimi progetti, ma sempre rimanendo fedele a certe tematiche a lui care.
Se, dando un rapido sguardo alla lista di opere da lui dirette e scritte, la risposta più immediata può risultare il mondo queer e cosa comporta essere un uomo e un’artista omosessuale al giorno d’oggi, il cerchio si può benissimo allargare a uno studio su archetipi emarginati, nel passato o nel presente, che preservano questo status emotivo e mantengono tale incapacità di aprirsi a un mondo che più volte li ha ignorati, per non dire denigrati.
Con il suo ultimo lavoro per il cinema, Estranei (All of Us Strangers), presentato al Telluride Film Festival sei anni dopo il veneziano Charlie Thompson e passato nella sezione della Festa del Cinema di Roma, ribadisce a gran voce tale concetto, seppur cambiando il sesso, da femminile a maschile, di uno dei protagonisti della coppia su cui è incentrato l’omonimo romanzo di partenza di Yamada Taichi. Difatti Adam (Andrew Scott), sceneggiatore in pieno sviluppo del suo prossimo copione, incontra e intraprende una relazione con Harry (Paul Mescal), l’unico altro inquilino di un palazzone della provincia londinese, il tutto mentre prova a recuperare il tempo perduto coi genitori perduti da ragazzino, che gli appaiono come fantasmi.
Questo avvicinamento del soggetto del film a una tematica più vicina al suo vissuto, l’orientamento sessuale dei protagonisti, risulta l’ennesima dimostrazione di quanto sia necessario piegare il materiale originario del racconto, peccando di infedeltà, al fine di poter regalare al pubblico un’opera che, nel suo viscerale autobiografismo, costruisca un ponte empatico con esso.
Anche in questo caso tale procedura non rincorre schemi e tendenze dell’audiovisivo attuale, bensì avviene esclusivamente per facilitare un procedere da una condizione particolare e generale e, quindi, raccontare nuovamente la solitudine dell’individuo immerso in una società isolazionista, nella quale sguazzano anime in pena per colpa di problemi irrisolti che non permettono di uscirne nemmeno dopo la morte.
Proprio per quest’ultima ragione in Estranei risulta particolarmente riuscita la commistione compiuta da Haigh dell’esperienza personale con il racconto di fantasmi, esoscheletro del racconto primigenio, avendo il coraggio di suscitare terrore nello spettatore fino ad allora accolto calorosamente dalle umanità dei protagonisti, respingendolo con stilemi e soluzioni visive puramente appartenenti al panorama orrorifico.
Tale collisione non consiste in un ossimoro fine a sé stesso, ma conduce chi guarda a riflettere, come i lavori più saggi dell’epoca recente sanno fare, sullo statuto delle narrazioni in tempo recente, sull’essenziale ruolo dello storytelling di dare vita a relazioni e dinamiche impossibili, nel trovare una soluzione al vuoto siderale odierno dando nuova forma al ricordo e ribadendo la possibilità di trovare uno spiraglio, un accesso al mondo esterno lasciando prima entrare le piccole solitudini che si intercettano nella vita di tutti i giorni.
Foto: Film4 Productions, Blueprint Pictures
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