Euforia: la recensione di loland10
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Euforia: la recensione di loland10

Euforia: la recensione di loland10

Euforia” (2018) è il secondo lungometraggio dell’attrice-regista Valeria Golino.
Che dire di una regista che dopo un’esperienza vistosa di attrice in lungo e in largo si permette di girare un paio di lungometraggi che già recitano nel ricordo di un cinema italiano non certo al meglio che cerca, o vuole farlo, storie ridotte e diverse, miste e fuori dai gangheri.
Che dire di un cinema italiano che (ri)aspira ad essere di nuovo grande con strade, linee e vicoli, più o meno stretti, tra ambienti diversificati, omaggi evidenti e voci di recita da sembrare fuori dal coro.
Che dire di attori/ici che hanno la meglio (gettandosi in luogo) sul panorama (in senso di cast e di visuali multiformi) intorno quando le inquadrature e i modi sanno di classico del nostro cinema. Fermare la camera e andare diritto sui volti tende a cercare il meglio ma è quest’ultimo che manca tra sceneggiatura oltre, coraggio da vendere e stile da farsi copiare.
Quando il cinema rigetta il facile, inizia l’inusuale e alla fine non ha la voglia (e non sa farlo più) di andare fino in fondo e di cogliere il blasfemo mondo dell’ipocrisia tra rapporti omo, ragazze addolcite, riprese insinuanti e voglie di cambiamento, mentre la morte insegue tutti senza sconti e senza nessuna preghiera virtuosa.
Matteo e Ettore, due fratelli contrapposti, due storie lontane e vicine, tra amori lasciati, nuove compagnie, una moglie da ricercare, un affetto represso e delle bugie, una ricchezza ostentata e una difficoltà per vivere. Matteo lo sbruffone e Ettore il represso.
Incontri, finzioni, nascondimenti, scontri, denaro e cento volte tanto: un abbraccio di silenzi e di voli.
Riccardo Scamarcio (Matteo): un ruolo ad hoc per un presuntuoso faccia da schiaffi.
Valerio Mastrandrea (Ettore): un volto scavato, una barba incolta e uno sguardo da perdente.
Jasmine Trinca (Elena): una freschezza stralunata e sberleffi recitativi.
Isabella Ferrari (Michela): uno sguardo profondo, un trucco dismesso, un parlare arroccato.
La regia segue ambientazioni particolari e di omaggio con una diversificazione dal solito cliché romano o dell’interno già considerato. Scene clou ed effetti facili repressi, misto tra ironia in metastasi e interiorità in agonia. Un guizzo di compiacenze sfinite e una ripresa in obliquo. Il cartellone è di foto mentre il treno sta per partire. Una corsa ombrosa e umida, grigia e di testa mentre il rumore in sottofondo riconduce ad una tavolata a fianco ad una spiaggia, in un dicembre non da bagno mentre Ettore vuole spogliarsi come un bambino che non sa. Matteo ride e invoca.
Entusiasmo in una regia minima, efficace, non di routine, poco incline all’effetto; fratelli in balia del tempo e della foga successo-insuccesso, e di una vita grama; fastidioso, difficile nei rapporti, non risolto, scuse di troppo; botte e lacrime che non asciugano. Ora non più, dopo qualcosa in meno, domani un giorno di parole; alla fine un cielo annerito da uno stormo ricolmo. Una voglia di copiare. Ma senza si poteva fare in un Tevere che Ettore non sa più scandire mentre Matteo riceve un dono dal cielo…da un gabbiano.
Alcune sequenze di troppo, alcuni discorsi non conclusi e alcuni misti incontri da rifare. Una vita amorosa interrotta, approcci fortuiti e amori maschili per conoscere uno e arrivare ad altri.
Insiste la camera in laterale, giravolte, lunghi passaggi e traffico in corsa; la pioggia ricambia, prima da dietro il vetro di una finestra poi dentro il vetro di un auto in affanno e di corsa.
Attenzione allo spirito e alle nuotate umide mentre il credere (forse) arriva tra una cartolina di Lourdes e una Međugorje in aereo privato. ‘Un aereo privato?’, ‘Tanto nessuno può saperlo’, ‘La Madonna sì..’: ecco che lo scontro verbale tra i fratelli per un’apparizione e un miracolo. Una scarpinata e un arrivare tra corpo che chiede e uno spirito che non chiede. È il credere in convenienza di un uomo (dis)perso.
Poi ecco che nella pellicola fraseggi e modi di un cinema omaggio (e oggi finito): Risi il cibo in veneranda al mare….; Monicelli il sarcasmo dei perdenti; Scola le intersezioni vuote degli ambienti romani….; Antonioni in alcune fissità sugli sguardi che arrivano pochissimo.
Regia varia e variopinta poco teatrante e classica.
Voto: 6½/10 (***).

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