Due anni e mezzo dopo la prima folgorante stagione, mitigati solo da due bellissimi speciali a cavallo tra il 2020 e il 2021 dedicati alle due protagoniste principali, Sam Levinson torna a raccontare il tetro e stralunato coming of age di un gruppo di giovani di East Highland, in California. Nella seconda stagione di Euphoria ritroviamo Rue (Zendaya), adolescente che obnubila disturbi e ansie con ogni droga possibile, alle prese con l’amore tormentato per Jules (Hunter Schafer), ragazza transgender il cui passato impedisce di accettare passivamente la spirale di distruzione della coetanea.
Il micro mondo di Euphoria è in realtà molto più affollato e variegato: ogni personaggio – dal campione di football Nate alla ragazza alla scoperta del proprio corpo, Kat – pur rappresentato in maniera estremamente “americanizzata”, si fa portavoce di personalità, problemi ansie e traumi della Generazione Z, ovvero quei post-millenials che stanno crescendo in un contesto sociale, economico e climatico in cui è difficile guardare al futuro con ottimismo.
Per sfuggire a questo malessere generazionale che non sembra offrire alternative concrete, ricorrono a tutti quegli eccessi tipici dell’immaginario high school americano: sesso, droga e feste in piscina. Tuttavia, si avverte che la sensualità e la sessualità rappresentata tramite nudi espliciti (maschili, soprattutto, tratto peculiare della serie) sono intrinseche nelle loro vite ma allo stesso tempo chiaramente malsane. In questo senso, Euphoria si distingue come il contraltare oscuro di Sex Education: stessa generazione, stessi argomenti, ma uno sguardo d’insieme diametralmente opposto.
Anche questa seconda stagione si conferma un teen drama tanto brillante nella sostanza quanto sui generis nella forma: fatta eccezione per i verbosi e teatrali episodi speciali dedicati a Rue e Jules, la messa in scena mette da parte la scrittura per affidarsi ad una struttura tentacolare e a soluzioni visive “da videoclip”, sfruttando al meglio l’incredibile lavoro di Labrinth alla colonna sonora. Ogni episodio sembra quindi un omaggio all’estetica di Baz Luhrmann, intrisa però qui di un triste lirismo e un cinico senso di abbandono e smarrimento: una patina brillantinata che nasconde malamente paure e traumi della Z-Gen.
Foto: MovieStils
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