Festa di Roma 2019, la recensione di Scary Stories To Tell in The Dark, il teen horror prodotto da Guillermo del Toro
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Festa di Roma 2019, la recensione di Scary Stories To Tell in The Dark, il teen horror prodotto da Guillermo del Toro

Festa di Roma 2019, la recensione di Scary Stories To Tell in The Dark, il teen horror prodotto da Guillermo del Toro

Scary Stories to tell in the dark recensione
PANORAMICA
Regia (3)
Interpretazioni (3)
Sceneggiatura (3)
Montaggio (3)
Fotografia (3)
Colonna Sonora (3)

La classica cittadina della provincia americana. Il giorno di Halloween. Un gruppetto di loser pronti a vendicarsi del crudele bulletto che li prevarica. Una casa infestata dallo spirito di una donna costretta a rimanere reclusa in una stanza dalla famiglia quando era ragazza. Incubi che si manifestano sotto forma di mostri.
Basterebbero questi pochi elementi per rievocare immediatamente le atmosfere di una di quelle storia di Stephen King, da Stand by Me a IT, in cui gli adolescenti devono fronteggiare le loro peggiori paure, per non parlare delle assonanze con una serie retronostalgica e spielberghiana come Stranger Things, popolata di creature spaventose. Se a queste influenze aggiungiamo, poi, la longa manus di Guillermo del Toro, autore del soggetto e produttore del film, diventa facile immergersi nel background dal quale prende le mosse Scary Stories To Tell in the Dark, diretto dal norvegese André Øvredal, e soprattutto intuire a quale target si rivolga principalmente.
Il film (nelle nostre sale dal 24 ottobre), appena presentato alla Festa di Roma, risente molto dell’influenza del regista messicano di Il labirinto del fauno, già a partire dai parallelismi che crea tra orrori personali e vicende polito-sociali secondo la lezione romeriana molto ben assimilata. Ci sono il libro stregato e i mostri che perseguitano i ragazzi protagonisti e quelli che opprimono la società, come fecero nell’anno rappresentato (il 1968) la guerra del Vietnam e il presidente Nixon. Questi elementi profondamente realistici, però, si mescolano, come spesso accade nel cinema del Premio Oscar per La forma dell’acqua, con il folklore ed elementi fiabeschi derivanti dalla serie di libri per ragazzi scritta da Alvin Schwartz, da cui Scary Stories prende il titolo e l’ispirazione.
Della poetica di Del Toro – a cui Øvredal presta una regia impeccabile anche se senza guizzi – non manca nulla, dalla passione per gli outcast (quali sono i tre teen ager protagonisti) all’intolleranza verso il diverso (il vagabondo Ramon), fino agli effetti speciali artigianali (tra i più belli, i ragni che fuoriescono dalla faccia della bionda Ruth e la Pale Lady che fagocita le sue vittime), oltre a un’esaltazione del potere immaginifico del racconto (“Stories Hurt, Storie Heal”), che qui si mette a servizio di una macabra storia perfetta per un pubblico giovane avvezzo alla serialità.
Il finale aperto, infatti, suggerisce la volontà di far seguire altri capitoli alle avventure di Stella, che nel corso della storia, da ragazza esclusa e smarrita si trasforma in una giovane donna consapevole della propria forza interiore e determinata a non arrendersi alle paure, di cui i mostri sono metafora. 

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