Freeheld: la recensione di Marita Toniolo
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Freeheld: la recensione di Marita Toniolo

Freeheld: la recensione di Marita Toniolo

Dopo Carol e Io e lei, la lesbo-new wave che sta costellando questo 2015, si arricchisce anche di Freeheld, dramma civile interpretato da Julianne Moore ed Ellen Page (quest’ultima tra l’altro ha fatto outing non più di un anno fa). Un dramma civile quanto mai attuale e potenzialmente foriero di dibattito in un paese come il nostro in cui i diritti della comunità LGBT non sono riconosciuti come in altri paesi del mondo, anche cattolici. Il sottotitolo del film, Amore, giustizia, uguaglianza è piuttosto programmatico, visto che il film racconta la storia di una coppia omosessuale che deve fronteggiare le autorità per ottenere un diritto, e ben si associa allo stile didattico del film.

Il film di Peter Sollett nasce da una storia vera piuttosto famosa negli States, che ha fatto da viatico all’autorizzazione ai matrimoni gay e pertanto è una pietra miliare del percorso per il raggiungimento dei diritti civili della comunità gaylesbo. Già nel 2008 la storia è stata trattata in un documentario/cortometraggio, aggiudicandosi un Premio Oscar, e ora lo sceneggiatore Ron Nyswaner lo ha trasformato in film. Vi si narra di Laurel Hester, detective di polizia che svolge il suo lavoro con passione e coraggio e sogna di diventare tenente. Per questo motivo, non ha mai rivelato a nessuno le sue inclinazioni sessuali e tiene la sua vita privata ben lontana dal lavoro. Finché non si innamora di Stacie Andree, più giovane di lei, appassionata di motori e in grado di sostituire le gomme di un auto in meno di otto minuti. Le due comprano una villetta con giardino, un cane e si certificano come coppia di fatto. Tutto procede in modo prevedibile finché a Laurel non viene diagnosticato un cancro ai polmoni e la donna vorrà lottare strenuamente fino alla fine per garantire un futuro stabile alla compagna. Laurel, allo stadio terminale, dovrà vedersela con i repubblicani freeholder (proprietari) della contea non intenzionati a riconoscere la pensione di riversibilità a Stacie, come invece avverrebbe per qualsiasi agente di polizia etero.

La posizione conservatrice dell’amministrazione cittadina viene messa sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica grazie alle prime pagine dei quotidiani e alle proteste organizzate dall’attivista Steven Goldstein – gay ebreo interpretato con esuberanza da Steve Carell -, che portano alla ribalta il caso Hester/Andree con la sua sproporzionata violazione dei più elementari diritti della persona, specie nei confronti di un pubblico ufficiale che ha sacrificato con onore più di 20 anni della propria vita alla causa della giustizia. Mix incrociato di cancer movie, dramma civile e lesbo story, che avrebbe meritato di essere valorizzato per la funzione politico-sociale avuta, patisce di una regia piatta, di una sceneggiatura che disegna personaggi monolitici (pochissime le sfumature per personaggi che devono affrontare tragedie personali e battaglie pubbliche) e una prevedibilità di svolgimento eccessiva anche per una storia vera.

Non bastano neppure le convincenti interpretazioni di Julianne Moore, capace di illuminare la più opaca delle pellicole, né lo sforzo mimetico della Page, devota alla causa. In un film che vorrebbe costruire “santini” simili a quelli dei biopic tv, Sollett rivela chiaramente la sua ascendenza televisiva, con esiti lontanissimi da un Dallas Buyers Club o un Milk, riuscendo a toccare le corde emotive solo nel finale, ricattatorio, quando le due donne ottengono la vittoria sulla burocrazia ma non sulla vita. Inoltre, pur con i dovuti distinguo, va constatata una certa rigidità – probabilmente determinata dal “debito iconografico” nei confronti delle vere Laurel e Stacie – da parte delle attrici nell’affrontare le scene d’amore, che non genera particolare empatia. Se La vita d’Adele e Carol da una parte ci fanno percepire chiaramente l’alchimia che può generarsi tra due donne, sia l’italiano Io e lei che lo statunitense Freeheld perdono per strada quello che non è un dettaglio trascurabile, ma la premessa propedeutica allo svolgimento di una storia d’amore. Finisce che a risultare più interessanti sono le figure di contorno come il contestatore arcobaleno Steve Carell o il dignitoso partner di polizia Michael Shannon, guizzi di luce in un affresco incolore.

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Mi piace: la caratterizzazione convincente delle attrici, nonostante una certa rigidità nelle scene d’amore.

Non mi piace: la regia e la scneggiature piatte. La qualità quasi televisiva del tutto.

Consigliato a chi: ama i drammi sui diritti civili ed è sensibile alla causa LGBT.

VOTO: 2/5

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