French Connection: la recensione di Valentina Torlaschi
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French Connection: la recensione di Valentina Torlaschi

French Connection: la recensione di Valentina Torlaschi

L’altra faccia de Il braccio violento della morte. Se il film di William Friedkin era ambientato in una plumbea e caotica New York, con French Connection Cédric Jimenez riporta la “mala francese” nell’assolata e indolente Marsiglia del 1975. Qui la criminalità, con i suoi traffici di eroina purissima diretti in America, è la linfa vitale che scorre per le strade e fa pulsare il cuore economico della città portuale non mancando di infiltrarsi nei luoghi di potere, uffici della Polizia in primis. Se il grande noir americano raccontava “la French” in absentia incarnandola nello sfuggente e beffardo boss col volto di Fernando Rey inseguito senza successo dagli agenti Gene Hackman e Roy Scheider, nel polar francese ora nei cinema l’associazione criminale intride l’aria di ogni scena innescando una lotta morbosa tra il magistrato Pierre Michel e il caïd Gaëtan Zampa. A interpretare il primo, anche ribattezzato il “giovane Falcone”, è il premio Oscar Jean Dujardin (The Artist); nei panni del secondo, ovvero il “Padrino della Provenza”, Gilles Lellouche (Gli infedeli). Tra i migliori interpreti del cinema francese contemporaneo, i due tornano a lavorare insieme per la terza volta costruendo – va detto subito – un duello recitativo notevole. Un duello a distanza, con una sola scena in cui si trovano faccia a faccia, in un piazzale a strapiombo sul mare, per una resa dei conti dal lontano sapore western in cui ai colpi di pistola si sostituiscono scambi di dialogo quasi esistenzialisti. Il respiro di French Connection è allora, forse, più quello della tragedia che non del poliziesco: Pierre Michel e Gaëtan Zampa sono ritratti come eroi epici, consapevoli dell’ineluttabilità del proprio destino e della propria fine. Nemici d’onore che si trascinano vicendevolmente verso la morte senza però essere gli artefici materiali l’uno dell’epilogo dell’altro.

Terza protagonista è Marsiglia. Impeccabile la ricostruzione storica della città negli anni ’70, dalle auto, agli arredamenti, alle pubblicità sui muri. Nulla sembra “appiccicato”, finto; c’è una cura del dettaglio maniacale e infatti la “Napoli d’oltralpe” non ha paura di essere ripresa da vicino e viene sviscerata con una mdp a mano che sta addosso alle cose, oltre che ai personaggi, concedendosi raramente a una visione d’insieme da cartolina. Una ricostruzione di assoluta credibilità resa possibile grazie al cospicuo budget da 21 milioni di euro ma anche grazie allo sguardo del regista Cédric Jimenez (qui al suo secondo lungometraggio dopo Aux yeux de tous) nato e cresciuto a in quella città sanguigna e violenta e la cui memoria da bambino è rimasta indelebilmente impressa da fatti a lui così vicini (negli anni ’70 suo padre aveva un ristorante a due passi dal bar del fratello di Zampa).

Una regia di gran cura, dunque. Ma anche una regia totalmente al servizio della trama, molto (fin troppo) classica nel rispettare le regole del genere – soprattutto nel restituire il mix di azione e introspezione tipico del polar – e carente di una certa originalità artistica. La storia procede lineare (a tratti piatta, perfino) puntando sulla confezione elegante di questo romanzo criminale ma senza sperimentazioni stilistiche. Ciò non toglie che French Connection rimanga un film ben scritto soprattutto nel delineare l’ambiguità dei personaggi: il giudice, presunto eroe in terra straniera (viene da Metz), la cui sete di giustizia è più dettata da una dipendenza di adrenalina, da un droga che deve cancellare un’altra droga (quella per il gioco d’azzardo), che non da una sincera vocazione. E poi anche il boss Zampa non è dipinto come l’incarnazione del male ma è mostrato nei panni del marito affettuoso e bravo padre. Nessuno è insomma l’emblema del bene o del male in una contrapposizione manichea; i confini sono sfumati. Un’ambiguità messa in luce soprattutto nel finale dove la presunta vittoria della Legge non è limpida anche perché il nemico è interno, frutto della collusione tra criminalità, polizia e politica (e non viene risparmiato neanche il sindaco di Marsiglia Gaston Defferre poi diventato ministro sotto Mitterand). Un finale complementare a Il braccio violento della legge che ribadisce, con una glaciale chiarezza, una certa inutilità della lotta alla criminalità che è sempre così beffarda e così sfuggente, proprio come lo è stato il personaggio di Fernando Rey.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace: La ricostruzione storica ineccepibile, le convincenti prove attoriali di Jean Dujardin e Gilles Lellouche, una certa ambiguità dei personaggi
Non mi piace: Una regia fin troppo classica che non rischia mai e non esce mai dai sentieri del genere
Consigliato a chi: A chi ama i romanzi criminali

VOTO: 3/5

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