La Seconda Guerra Mondiale torna al centro dei progetti di Hollywood e lo fa attraverso la mascella squadrata di Brad Pitt, molto diverso dall’inglorioso bastardo tarantiniano, e la solida regia di David Ayer, già autore di pellicole dure e realistiche quali “End of Watch” e “Training Day”. Indagata in molte sue sfaccettature, il conflitto contro la Germania nazista viene qui osservato attraverso il mirino del cannone di un carro armato e attraverso l’occhio stanco dei protagonisti, giovani soldati uniti dalla ferocia della guerra. Lo Stato tedesco, dove si sviluppa la vicenda, rappresentato con colori opachi, il marrone del fango si fonde con il rosso del sangue dei cadaveri che si accumulano ai lati delle strade, a cui si aggiunge il grigio della macchine da guerra e il pallore dei volti dei combattenti, fa da sfondo a una storia che è sì violenta, ma che lascia sempre spazio, seppur poco, alle emozioni. La meravigliosa fotografia mette in luce la struttura biunivoca della pellicola, articolata su due piani che alla fine si incontrano nel medesimo finale, il piano esterno, contraddistinto dal rumore delle armi e dalle urla degli innocenti uccisi, e quello interno, idealizzato dalla pancia del carro o dalle case tedesche, ermetici luoghi in cui si cerca di ritrovare quella pace e quell’umanità ormai perdute, ma che inevitabilmente vengono travolti dall’incessante scorrere della Storia e imbrattati di sangue e sudore. Luoghi in cui il sergente Don Collier, interpretato da un monumentale Brad Pitt, leader del grupo, cerca di tenere uniti i suoi commilitoni, di essere guida per gli altri ma allo stesso tempo anche per se stesso. Accanto a lui Logan Lerman, il più giovane della compagnia, il più fragile, Shia LaBeouf, ortodosso predicatore che cerca rifugio nella religione, Michael Pena e Jon Bernthal, autori di prestazioni convincenti e commoventi. intervallata da scena di paradossale serenità e normalità, la crudeltà della guerra viene ripresa da Ayer in tutta la sua interezza, senza filtri, e rivela l’intento del regista di offrire allo spettatore un ritratto sanguinoso e brutalmente realistico del mondo dell’epoca. Un mondo in cui non c’è spazio per gli eroi, in cui le imprese di guerra non sono mai fini a loro stesse ma sono funzionali alla vittoria, in cui il premio non è la gloria ma semplicemente il cappello e la medaglia da strappare al cadavere del generale nazista con cui arredare la propria macchina da guerra. Un punto di vista che ci permette di entrare direttamente all’interno della vicenda, di osservare la battaglia dal cuore pulsante, del carro armato, che permette di condividere con i protagonisti la paura, l’adrenalina, il sangue, il rumore dei proiettili, di condividere con loro l’esperienza totalizzante della guerra.
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