Molto autobiografico: Volo, prof di filosofia di vita postmoderna, cita Bauman e quell’esistenza liquida sorpassata prima dalla volatilità e poi dalla nichilistica eternizzazione del presente, è vedovo così com’era separato dalla moglie all’inizio delle riprese. De Lellis idem, una recensione ha evidenziato l’umiltà nell’esporre “più la pelle ancora segnata dall’acne che le forme atletiche”: brividi. “Il cinema è morto”: purtroppo ancora no. Shitstorm audiovisivo. Ma colgo l’occasione per un approfondimento: Bauman e Bowman. La quasi omofonia e omografia è uno strano scherzo del destino: il primo nei suoi libri non ha mai citato Kubrick eppure, attingendo inconsapevolmente per la sua metafora a un modello fisico che prevede effetti sogliari, la socioantropologia come transizioni di fase dello stato della materia, fornisce a tutt’oggi la miglior spiegazione scientifica del trip mistico/psichedelico/mescalinico dei due sceneggiatori di “2001”: dal solido al liquido, poi alla volatilità gassosa/aeriforme con la crisi dei derivati tossici (i “subprime”) e adesso al plasmatico proto-Big Bang. Andando avanti tornand’indietro all’originario e sorgivo, al primordiale e pprimigenio, siamo giunti alla dissoluzione dei componenti costitutivi dell’identità, l’anticamera (rococò) di ciò ch’adesso va di moda chiamare “il grande reset”. Tale dissoluzione era già stat’anticipata d’autori, intellettuali e artisti di nicchia (la copertina del 2° album dei Talking Heads, 1978, le locandine d’un paio di film di Van Sant, “Gerry” del 2002 e “Paranoid Park” del 2007, ecc), la novità sta nel fatto ch’ora è diventata fenomeno di massa, popolare, mainstream, è il vissuto quotidiano di giovani condòmini e d’ancor più giovani gestori di street food nel proprio paesotto. Facendo gli scongiuri affinché s’eviti l’approdo allo “starchild”.
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