Adattamento live action dell’omonimo manga del 1989 di Masamune Shirow, Ghost in the Shell di Rupert Sanders (Biancaneve e il cacciatore) è un prodotto che piace ma che non osa strafare, seppure la profondità di base del tema richiedesse al regista almeno un po’ più di coraggio. Sceneggiatura di Jamie Moss (La notte non aspetta) e William Wheeler (L’imbroglio) poco accattivante nei dialoghi ma comunque ordinata e ben gestita in fase di montaggio. Fotografia di Jess Hall (Hot Fuzz; Due cuori e una provetta; Transcendence). Musiche di Clint Mansell (Requiem for a Dream; The Wrestler; Moon; Il cigno nero; Foster; Noah). Come già dimostrato in Under the Skin e Lucy, Scarlett Johansson è abilissima nell’interpretare un personaggio al limite dell’umanità come quello del Maggiore Mira Killian, protagonista assoluto della pellicola.
La Hanka Robotics, guidata da Cutter (Peter Ferdinando), gestisce un’organizzazione antiterrorismo cibernetico, la Sezione 9, capitanata dal Maggiore Mira Killian (Scarlett Johansson). Mira è un soggetto che, a seguito di un incidente, ha ricevuto un corpo interamente artificiale, riuscendo però a conservare il ghost, ovvero la sua anima. La Hanka Robotics dà il compito alla Sezione 9 di eliminare Kuze (Michael Pitt), un cyber terrorista dalle intenzioni poco chiare ma assassine. Sarà proprio Kuze, in qualche modo, a sollecitare la parte ancora umana della protagonista, la quale avrà a fare con vecchi e confusi ricordi di un passato da ricostruire.
Essendo venuto a conoscenza del prodotto Ghost in the Shell grazie all’uscita del film parlerò soltanto di questo, impossibilitato a fare riferimenti al manga di Shirow o all’anime che ne è seguito di Mamoru Oshi. Il secondo film diretto da Rupert Sanders è uno sci-fi ambientato in un futuro imprecisato ma che oramai ci sembra così vicino da poterne percepire la presenza, con la tecnologia che divora a mano a mano ogni aspetto del vivere umano. La pellicola è senz’altro più che buona e tiene alta l’attenzione dello spettatore per tutta la sua durata, seppur senza slanci emotivi. Il ritmo dell’azione è abbastanza sostenuto grazie a scene di lotta godibili, a pause dedicate ai dialoghi e alle svolte di trama, il tutto perfettamente amalgamato. La Johansson veste egregiamente i panni del Maggiore Killian, un essere in parte umano e in parte macchina che usa i suoi potenziamenti al servizio della Hanka Robotics. I personaggi che ruotano attorno a lei, compreso il villain, risultano però abbastanza inconsistenti, a parte Batou, interpretato da un ottimo Pilou Asbaek, che invece riesce ad assumere una propria tridimensionalità. Mira è, dunque, il protagonista assoluto di questa pellicola che soffre di una certa superficialità rispetto a quello che il piatto, pieno di primizie, aveva da offrire in partenza. Siamo di fronte ad un’umanità che accoglie volentieri e brama per sé la tecnologia, diventata così intrusiva nella vita di ognuno da essere in grado addirittura di sostituire parti del corpo umano, potenziare alcune facoltà come la memoria e le capacità di comprensione. L’uomo, nella sua smania deviata di progresso e nell’insoddisfazione per la propria natura imperfetta, si lascia colpire dall’onda tecnologica, ma non riesce comunque a fare a meno di dare ascolto a quella voce interiore che grida di non rinunciare alla propria umanità. La trama di Ghost in the Shell è abbastanza semplice e lineare e purtroppo, per colpa di trailer troppo rivelatori, pure conosciuta in alcune parti che forse sarebbe stato meglio tenere celate per usarle come punti di svolta della storia, di modo da impegnare un po’ di più il pubblico. Le atmosfere cupe e le ambientazioni della città futuristica in cui si svolge l’azione, con questi enormi pannelli virtuali pubblicitari in 3D, ricordano in qualche modo quelle di The Zero Theorem ma, a differenza di questo, sono qui troppo eteree e restano intangibili. Rimangono sconosciute le condizioni di vita di una società certo degradata a livello morale. Insomma, i personaggi agiscono in un ambiente che non comunica ma fa da semplice palcoscenico per le mirabolanti azioni del Maggiore Killian. Come regola classica comanda, la base della storia richiede la riscoperta di un passato sepolto che deve essere disseppellito, quello di Mira Killian ovviamente, e il tutto avviene con buone scelte di tempo. Lode a Scarlett Johansson, autrice di un’ottima prova che ha senz’altro alzato il livello della pellicola. La bella attrice statunitense riesce ad essere intensa ed espressiva quando deve far emergere il lato umano, mentre risulta fredda e priva di emozioni quando è il suo io robotico ad essere coinvolto. In sostanza, Ghost in the Shell è un film godibile seppure, ripeto, viste le implicazioni sociali che il tema dell’invasione tecnologica comporta, abbastanza superficiale e non approfondito in certi aspetti. Non so come gli amanti del manga e dell’anime abbiano accolto questa pellicola ma è comunque evidente il poco coraggio avuto da Sanders, troppo conscio del pericolo di intaccare un prodotto già solido, nell’affrontare certi temi, tenendosi dunque sul vago e facendo di Ghost in the Shell un classico, e buono, sci-fi d’azione che non ha intenzione di scontentare nessuno.