Pier Luigi Mecchia, detto Gigi, vive in un piccolo paese di campagna situato lungo il confine tra Friuli – Venezia Giulia e Veneto. Di lavoro Gigi fa il vigile pattugliando il territorio del Comune di San Michele al Tagliamento, per sei ore al giorno, sia in solitudine che in compagnia. Nel mentre segue alcune piste l’uomo inizia a intrattenere un dialogo a distanza con Paola, la nuova vigilessa che lavora nell’ufficio della centrale di polizia municipale, attraverso l’uso della ricetrasmittente dell’auto d’ordinanza. Tra i due inizierà a livello vocale uno scambio di sorrisi e simpatie, dando il là a un flirt radiofonico in attesa che uno dei due facci la mossa finale, al fine di conoscersi fisicamente.
Gigi la legge, film diretto da Alessandro Comodin, il regista de L’estate di Giacomo e I tempi felici verranno presto, lavori spudoratamente underground ed entrambi sublimi ed estasianti nel loro miracolo fuori dal tempo, racconta la storia di un vigile di nome Gigi, che lavora in campagna, laddove non succede mai niente di nuovo. Un giorno accade, però, che una giovane si suicidi, buttandosi sotto un treno e non è la prima volta che la cosa si verifica.
È così che ha inizio un’indagine che cerca di trovare una spiegazione a questa serie di suicidi nel bel mezzo di una provincia alquanto strana, che sembra sospesa tra realtà e fantasia. Qui un giardino può rivelarsi una giungla e un poliziotto potrebbe essere sempre pronto a innamorarsi e a sorridere.
Un vigile urbano di San Vito al Tagliamento (interpretato da Pier Luigi Mecchia, zio del regista), i suoi infiniti giri di perlustrazione in automobile, la voce dolcemente melliflua e magneticamente cantilenante, i giochi di seduzione e i flirt al telefono con una donna solo descritta ed evocata fuori campo, le piccole trasgressioni («Sono un pirata, sono un signore», come cantava Julio Iglesias, che a Gigi piace cantare a sua volta, sicuramente immedesimandosi e rispecchiandosi in quel titolo).
Il quotidiano traslato da una macchina di presa discretissima eppure sempre rintracciabile nel regno orizzontale della mitologia provinciale più malinconica, istrionica e fanfarona, del vuoto pneumatico del tempo che scorre senza peso, delle morti senza volto e senza nome, della malinconia tropicale e notturna di Apichatpong Weerasethakul, della “foresta di simboli” di Charles Baudelaire.
Da qualche parte tra le deambulazioni esistenziali di Abbas Kiarostami e le idiosincrasie lunari di Nanni Moretti, il cinema del reale più radicale, strampalato, sognante e liberatorio oggi concepibile nonché possibile, vero come la finzione e falso come il documentario.
Non a caso “fuori norma” e invisibile più che mai, in rapporto tanto alla situazione delle sale – nonostante l’ottima micro-distribuzione di febbraio, quanto alle pigrizie di sguardo di chi ambisce soltanto e essere corrivo col pubblico, che “ha sempre ragione” e non è mai colpevole, come denunciava qualche tempo fa proprio Nanni Moretti dicendo che era colpa del pubblico se non era andato a vedere il pur bellissimo e decantato dalla critica Una vita di Stéphane Brizé al suo cinema romano al confine tra Testaccio e Trastevere, il Nuovo Sacher.
Presentato in anteprima al Trieste Film Festival, Gigi la legge vinto il Premio Speciale della Giuria al Festival di Locarno 2022 e ha ricevuto la candidatura come Miglior documentario ai David di Donatello 2023.
Foto: Rai Cinema, Okta Film, Idéale Audience, Michigan Films
Distribuzione italiana: Okta Film, Barz and Hippo, Star
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