Gli equilibristi: la recensione di Scully
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Gli equilibristi: la recensione di Scully

Gli equilibristi: la recensione di Scully

Il tradimento: la debolezza di un uomo che cede alla tentazione. L’inizio di un incubo. Il matrimonio di Giulio (Valerio Mastandrea) ed Elena (Barbara Bobulova),dopo un tentativo di riconciliazione, si sta ormai sfaldando e l’insofferenza della donna costringe l’uomo ad abbandonare la loro casa. Lui, impiegato al comune con uno stipendio di 1200€ al mese, si ritrova ben presto a fare i conti con le spese del mantenimento della casa, dei suoi due adorati figli e di se stesso. Col tempo la situazione diventa insostenibile, ma pur di non venir meno ai suoi doveri e alla sua dignità con mancati pagamenti, Giulio inizia la sua odissea fatta di lavori in nero, squallide pensioni, umiliazioni, dormite in macchina lungo la strada e ricerca straziante di un’opportunità lavorativa, che lo spingono alla disperazione e alla perdita di tutte le sue sicurezze.

Accanto ad alcuni momenti che trattano con ironia le avversità della vita, sfruttando e accentuando la tipica romanità di Mastandrea e di alcuni personaggi secondari, quasi grotteschi , De Matteo costruisce un vero e proprio dramma, a tratti dai toni neorealistici, realizzato con ricercati movimenti di macchina, un uso della musica che rende più intense le scene e l’alternanza di montaggio veloce e piani sequenza che si soffermano principalmente sul corpo e sul volto sempre più disperato e segnato di Giulio.
Il volto prima sorridente, poi preoccupato ed infine smarrito di Mastandrea è emblema della trasformazione che il regista fa compiere al suo personaggio, lanciato in una drammatica caduta libera, da una situazione di benessere piccolo borghese, verso la povertà, sia economica che umana. Le varie difficoltà rendono Giulio un uomo solo, duro, incapace di aggrapparsi alle mani tese di chi vuole aiutarlo, forse per orgoglio,senso di colpa o per pura rassegnazione; l’uomo pensa ormai che non ci sia alcuna possibilità di redenzione, nessuna via d’uscita da questo maledetto tunnel.

Il regista, infatti, sembra amare più questa tragicità, questo accanimento delle avversità nella vita del protagonista, rispetto al racconto stesso o all’approfondimento dei personaggi; alla complessità narrativa si preferisce mostrare la discesa verso la disperazione, nella quale lo spettatore può proiettare le proprie paure, in un’epoca di crisi come quella che stiamo vivendo, ed immedesimarsi, provando empatia per il povero Giulio e sperando in un happy ending. La speranza,infatti, si intravede, insieme alla pietà, solo nel finale che stride, però, con il resto del film per la brusca ed improvvisa “salvezza” del protagonista.

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