Commedia scollacciata o pochade? Gli infedeli, in uscita questo week end con protagonisti il premio Oscar per The Artist Jean Dujardin e il compare Gilles Lellouche, si muove in equilibrio precario sul filo che divide i due generi e, quando cade, lo fa pesantemente.
Misogino già a partire dalle locandine, seppure edulcorate quelle italiane (in Francia una signorina era chinata carponi davanti a Lellouche), che mostrano Dujardin impugnare le caviglie di una donna dai vertiginosi tacchi rossi e, ancora, l’attore di The Artist – seduto accanto a Lellouche – ammirare i fondoschiena di due sinuose esponenti del gentil sesso, il film esplora il tema dell’infedeltà maschile declinandolo attraverso sette episodi cinematografici diretti da altrettanti registi.
Le sette storie, scritte da Dujardin e Lellouche e successivamente proposte ai registi (tra cui il Michel Hazanavicius di The Artist, Alex Courtes, Eric Lartigan eccetera, ma anche gli stessi Lellouche-Dujardin), vanno dalla gag brevissima e scorrettissima sul “penis captivus” di Lellouche (nelle vesti di uno dei vari personaggi interpretati nel corso del film) all’episodio drammatico La Question, diretto dall’unica donna dell’ensemble (l’Emmanuelle Bercot di Polisse), in cui il George Valentin di The Artist recita accanto alla moglie Alexandra Lamy).
L’infedeltà viene declinata in tutte le sue variazioni (e “posizioni”): dal lolitismo al bondage estremo con azzimate signore, non si trascura nessuna situazione, ma non manca lo spazio anche per la cupezza, l’amarezza, i rancori, le disillusioni e le menzogne che si nascondono sempre dietro il tradimento.
L’infedeltà maschile è un fatto biologico dovuto alla necessità della perpetuazione della specie o sono le compagne troppo castranti a buttarli tra le braccia delle altre? Che il maschio sia poligamo per natura è la scusa preferita dai nostri erotomani o c’è del vero in fondo a quest’affermazione? La donna vuole la verità o preferisce essere ingannata?
La ricerca di una risposta a queste domande corre lungo tutto il film senza trovare ovviamente una risposta netta, ma pennellando uno spettro di emozioni variegato.
Il film, ideato da Dujardin per togliersi di dosso l’etichetta retrò e glam di The Artist (sigh!), guarda come modello ai Mostri di Dino Risi, ma finisce spesso per ritrovarsi nei pressi di Una notte da leoni 2 et similia. Il suo punto di forza si trova nel gruppo di attori protagonisti: non solo Dujardin e Lellouche ma anche Guillaime Canet e altri simpatici istrioni d’Oltralpe: bravi, affascinanti e talentuosi stanno tentando di cavalcare anche nelle vesti di autori questo momento così felice per il cinema francese. Ma la sceneggiatura difficilmente produce spunti che siano più fantasiosi dei racconti da spogliatoio e molte situazioni, come il finale, telefonato già dai primi minuti, è balordo ma sicuramente non inedito.
Tra gli episodi più divertenti, segnaliamo Infedeli anonimi, in cui tutti i personaggi presentati nei vari episodi partecipano a un gruppo di autocoscienza, con un irresistibile Canet nei panni del “secchione” che vuol piacere alla terapeuta blandendola in modo stucchevole e facendosi odiare dai compagni.
Discontinuo nei risultati, Gli infedeli a tratti diverte molto ma non convince quando calca la mano, raggiungendo comunque la sufficienza e confermando l’attuale superiorità del cinema francese, che anche quando produce pura evasione lo fa con una qualità e un’autoironia di gran lunga superiori a quelle in dote al nostro cinema.
French do it better? A letto non lo sappiamo, ma al cinema di sicuro.
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Mi piace: il tono autoironico con cui si gioca con il tema dell’infedeltà. La bravura e il fascino di Dujardin e Lellouche, irresistibili mascalzoni.
Non mi piace: la misoginia dichiarata da subito ed esasperata. La grevità di molte situazioni.
Consigliato a chi: vuole sdrammatizzare tematiche solitamente tabù.
VOTO: 3/5
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