Gold - La grande truffa
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Gold – La grande truffa

Gold – La grande truffa

Inseguire ossessivamente una vocazione, arrivare sul punto di collassare, ma perseverare e riuscire infine a raggiungere la cima del mondo. E poi, cadere, rialzarsi, e forse, ricadere ancora. È una vera e propria giostra di alti e bassi la vita di Kenny Wells, personaggio (ispirato a una persona realmente esistita, ma di cui è stato cambiato il nome) fuori tempo massimo proveniente dalla più virile mitologia americana, quella dei pionieri immensi e nel contempo tragici, i self-made man inghiottiti dalla loro incontrollabile fisima. Ce lo dice lo stesso Wells in una scena del film: in verità a lui nemmeno interessano i soldi, ma solo l’oro. Kenny non è un avido, bensì un sognatore.

Qui sta la differenza maggiore tra il lavoro di Stephen Gaghan e The Wolf of Wall Street, con cui è stato spesso paragonato dalla critica: Jordan Belfort era un imbroglione nato e conosceva le regole del sistema; al contrario, Wells a Wall Street ci è finito quasi per caso, in tutta la sua ingenuità più naive. Il primo era un anti-eroe; il secondo, un romantico. Gaghan ne è consapevole, e per quanto più volte pare ispirarsi a Martin Scorsese nella gestione dei ritmi più frenetici, sa anche distaccarsene quando sceglie invece di focalizzarsi sul suo protagonista cercando di sviscerarne i sentimenti più intimi: è in questi momenti che la cinepresa si abbandona totalmente su Matthew McConaughey (ingrassato, con problemi di calvizie e i denti storti), regalandoci alcuni sprazzi di toccante emotività, e si veda ad esempio il discorso di Wells durante la gala di premiazione.

Non sempre l’autore ha il totale controllo degli intrecci, ma è servito bene dalla sceneggiatura di Patrick Massett e John Zinman, giacché Gold – La grande truffa è un film in sui succede sempre qualcosa: una scossa, una deviazione, un colpo di scena, un colpo di scena nel colpo di scena. Al regista il merito di aver dosato bene i battiti del racconto per evitare la creazione di tempi morti, immergendo costantemente lo spettatore nelle peripezie di questo personaggio tanto repellente quanto empatico. L’audience, insomma, riesce a trovare una connessione (se non dell’ammirazione) verso Wells, ed è quindi facilmente trascinato dalle sue vicende larger than life. Ma a contare ancora una volta, oltre tutto l’apparato scenico indossato da McConaughey, sono i suoi occhi carichi di malinconia durante gli attimi di silenzio, sempre perennemente rivolti a un altrove che forse nemmeno esiste: un sogno evanescente, un ultimo luccichio colto poco prima di spegnersi.

Mi piace: Il continuo alternarsi di guai, risoluzioni e sorprese fino al twist finale

Non mi piace: Alcuni passaggi non approfonditi a dovere

Consigliato a chi: Vuole godersi una storia vera più incredibile delle storie inventate

Voto: 3/5

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