Solo, disperso nello spazio, faccia a faccia col mistero del cosmo. E’ l’uomo del nuovo film di Cuaròn, presentato come pellicola d’apertura all’ultima mostra di Venezia. Due astronauti americani dello Shuttle, Ryan Stone (Sandra Bullock) e Matt Kowalsky (George Clooney), vengono travolti da una tempesta di detriti che viaggiano velocissimi nello spazio: il tempo per mettersi in salvo è poco e in breve la dottoressa Stone resterà l’unica a dover mettere in salvo la propria vita. Il silenzio e l’armonia del cosmo diventano presto i protagonisti del film, così come l’oscurità e lo spaventoso vuoto che lo circondano. In un’ora e mezza di film si assiste quasi in tempo reale all’angoscia, alla paura e alla tenacia di Sandra Bullock, nello spazio per sfuggire ai dolori e al vuoto di un’esistenza terrestre, ma che proprio per tornare sulla terra si trova costretta a lottare contro il tempo, l’imprevedibile e la tecnologia. In gioco c’è la sua vita, ma anche molto di più: il ritorno a quel mondo così meravigliosamente illuminato visto dall’alto, il ritorno a quella gravità che è salvezza. Cuaròn realizza un film coinvolgente dall’inizio alla fine, con un sapiente uso del 3D finalmente non al servizio di uno stupore fine a stesso, ma della storia: le astronavi e i cavi fluttuano con sinuosa lentezza davanti e attorno a noi, il fiato faticoso dentro al casco si sente su di noi, il silenzio cosmico disturbato da lontani segnali radio ci avvolge e i dispersi diventiamo noi stessi. Clooney se ne va quasi subito, resta in scena, sola fino alla fine, una misurata ed efficace Bullock che lotta (anche con se stessa) con una tenacia e una debolezza umanissime; il film non è il nuovo “2001 – Odissea nello spazio”, ma vince la scommessa col suo mix di fantascienza e risvolti esistenziali.
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