Grazie a Dio: la recensione di loland10
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Grazie a Dio: la recensione di loland10

Grazie a Dio: la recensione di loland10

“Grazie a Dio” (Grâce a Dieu, 2019) è il diciottesimo lungometraggio del regista parigino François Ozon.
Ennesimo film di inchiesta da veri fatti accaduti. Si è parlato de “Il caso Spotlight” francese. Tutto in risalto con nomi e cognomi. Tutto in tinte forti senza nascondere nulla. Pur tuttavia si ha l’impressione che il racconto e i suoi personaggi non ci credono pienamente o meglio non si esce ricordando i volti. Rimane la storia anzi sono in memoria le storie, certamente dilanianti, ma lo svolgersi appare non sempre efficace o forse debole nella scrittura.
Comunque le voci si sentono e i momenti toccano l’interiorità di ciascuno di noi.
‘Grazie a Dio …i fatti sono andati in prescrizione’ … ‘ Si rende conto di quello che dice’. E alla fine la conferenza stampa lascia il segno al titolo del film e ai fatti tristemente accaduti. Una domanda posta male ma, soprattutto, un’affermazione che segna i fatti raccontati. Le scuse da parte del ‘prelato’ di Lione per termini inopportuni è il resoconto amaro di una vicenda non ancora chiusa definitivamente (i titoli di coda si riferiscono all’oggi).
Gli abusi sui minori (si parla di bambini scout che hanno le ‘forti attenzioni’ del padre Preynat (Bernard Verley -non facile e ingrato il suo ruolo-) -sacerdote della chiesa frequentata da Alexandre-) sono argomento vivo e mai accantonato: resta il vero dramma dei ragazzi di ieri e di oggi. Si fanno nomi e cognomi con riferimento alla Chiesa di Roma e ai disagi notevoli tra il mondo francese e quello del Vaticano. Naturalmente il vero danno psicologico e fisico è sui minori che hanno subito ogni sorta di ‘violenza’.
Il racconto, le storie, le situazioni e i ricordi, che sembravano rimossi, sono il resoconto di un film con personaggi diversi e incastri narrativi. Forse eccessivamente laborioso e didattico: resta un’immagine fortissima dagli avvenimenti un po’ meno la sensazione partecipativa e vera commozione.
Un borghese cattolico, un ateo e un tossico. Tre famiglie, tre destini, tre riprese e tre confessioni amare di un passato che qualcuno non pensava più.
La domanda finale al padre fervente lascia una risposta silenziosa…”Papà ma tu…credi ancora in Dio?”. La domanda del figlio al padre fervente cattolico, che frequenta assiduamente la chiesa, è inaspettata quanto scontata, severa e secca. Il padre sta lì ancora a riflettere su cosa dire e pensare. Alexandre guarda il figlio con uno sconforto e un silenzio ‘rumoroso’.
Alexandre (Melvil Poupaud) è padre di cinque figli, osservante; frequenta la chiesa; vive vicino Lione. Si accorge andando a messa che padre…..ancora esplica il ‘lavoro’ di religioso. E’ da il ricordo diventa un senso di colpo e anche un inizio con una denuncia. La famiglia viene informata. Senza vergogna e nessun timore.
Francois (Denis Ménochet) vive con una donna, si professa ateo e cerca maniere dure pur di vedere trionfare la giustizia. Dopo una certa titubanza, cerca altri per un’associazione e insieme trova collaborazione per aprire il ‘muro’ del silenzio e della vergogna.
Emmanuel (Swann Arlaud) è un ‘ragazzo’ cresciuto troppo sensibile con problemi di salute. Si sente uno sconfitto ma trova la forza per informare i suoi vicini: la madre (che ricorda vagamente di padre Preynat) e la sua compagna (che è solidale nonostante polemiche e litigi).
Si scopre che anche le donne (inizia una piccola confessione) hanno subito violenze…e la solidarietà non basta. Un inferno che si schiude e vuole un processo giusto.
Il film è tenue, sensibile, forte e liberatorio. Corretto ma non ‘emoziona’ come dovrebbe (è una semplice opinione). La visibilità è da fare per un argomento troppo scottante.
Il cast si mette in gioco in modo misurato e sincero.
Regia di François Ozon lineare e senza effetti; sceneggiatura dello stesso regista non sempre convincente. Orso d’argento, Gran premio della giuria al Festival di Berlino 2019.
Voto: 6½/10 (***) -cinema realista-

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