Negli Stati Uniti del 1962, per un uomo di colore non è particolarmente semplice intraprendere un viaggio che da New York scenda verso gli stati del sud e posti come il Tennesse, l’Alabama o il Mississippi, perfino se l’uomo in questione è uno dei pianisti più celebrati del Paese, uno che vive in un appartamento “museale” sopra la Carnegie Hall, nel cuore di Manhattan. Ristoranti per soli bianchi, pub per soli bianchi, motel per soli bianchi e naturalmente bagni per soli bianchi: una lista di divieti impossibili da aggirare se non a rischio di fare una brutta fine.
Per questo, per chi comunque deve correre dei rischi, magari perché impegnato in una tournée con il trio jazz che porta il suo nome, è imprescindibile avere con sé il Green Book, abbreviazione di The Nigro Travelers’ Green Book, una lista di posti che non impongono divieti alle persone di colore. E poi, certo, può aiutare accompagnarsi a un autista italo-americano abituato a guidare ma soprattutto a menare le mani nei night club gestiti dalla mafia neyorkese, un autista che si chiama Tony Vallelonga ma per tutti è Tony Lip, Tony Labbro, perché con le sue stronzate riesce sempre a convincere gli altri a fare come dice lui…
La storia del pianista afroamericano Don Shirley (Mahershala Ali) e di Tony Vallelonga (Viggo Mortensen) diventa ora un film per la regia di Peter Farrelly, ma a differenza dei lavori di Peter con il fratello Bobby qui si usano la commedia e i suoi canoni – Green Book è pur sempre strutturato per accumulo di gag e ispessito da grossolane caratterizzazioni secondarie – per trattare un pezzo di storia e di società potenzialmente incendiari. È la seconda volta in poche settimane che la questione razziale finisce declinata in forma di commedia, era già successo con BlackKklansman di Spike Lee, e questo baratto tra slancio drammatico e umorismo non fiacca affatto il proposito di denuncia, semmai lo fa sembrare più consapevole, interiorizzato.
C’è poi una conseguenza importante nei film messi in scena senza particolari ambizioni autoriali, cioè al servizio della scrittura: danno al testo un’evidenza ulteriore, una specie di tridimensionalità artigianale, e il peso delle tradizioni. La sceneggiatura di Green Book – con la sua andatura cadenzata da buddy movie on the road, la sua traiettoria prevedibile, la sua atmosfera natalizia e la sua brillante intelligenza – è proprio questo, un pezzo di straordinario artigianato americano. Rischia di diventare un classico istantaneo per il feste, al modo di Una poltrona per due, e sarebbe un erede di cui andar fieri.
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