Grimsby: la recensione di Giorgio Viaro
telegram

Grimsby: la recensione di Giorgio Viaro

Grimsby: la recensione di Giorgio Viaro

Di fronte alla rappresentazione dell’osceno sempre più estrema dei film di Sasha Baron Cohen, tocca mettere un attimo da parte la risata liberatoria o lo sgomento, e riflettere sul modo in cui l’attore e autore inglese (non solo lui, ma soprattutto) stia minando consapevolmente le coordinate sociali dell’esperienza cinematografica. I parenti di quel che fa Cohen sono South Park e certi spoof dei Wayans (come il recente 50 sbavature di nero), ma l’asticella del politicamente scorretto e del rappresentabile all’interno del mainstream, continua ad alzarsi.

Nella scena madre di Grimsby (il nome si riferisce a una cittadina costiera britannica, a est di Manchester), parodia delle spy story bondiane incentrata su due fratelli, i protagonisti si nascondono nell’utero di una elefantessa che sta per essere violentata da una colonna di esemplari maschili. Tutto quello che segue è mostrato a lungo e senza censure. Anzi, con dovizia di dettagli.

È un’industria da miliardi di dollari a partorire questa sequenza, immaginando un pubblico talmente assuefatto alle immagini da cercare uno spazio scopico nuovo da esplorare. È così che il cinema pornografico, con la scorciatoia del comico o del romance (vedi il bondage-chic di 50 sfumature di grigio), contamina il cinema popolare e sarà interessante capire quanto incasserà questo film, cioè quante persone, e in quali fasce demografiche, lo vedranno. È un gioco al rilancio che – da un punto di vista estetico e linguistico – ormai non ha più molti margini di movimento, visto che oltre a mettere in bella mostra ani divaricati ed eiaculazioni animalesche, Cohen scherza su bambini malati di AIDS, pedofilia e affini. Ma ha naturalmente delle ricadute politiche che vanno al di là del marketing.

Perché se a primo acchito sembra di sentir parlare i Fichi d’India dei tempi d’oro, quelli di Natale in India, la differenza tra i nostri cinepanettoni e questo cinema è tecnica e politica, riguarda cioè la qualità della messa in scena (e i tempi comici, la recitazione quasi realistica, anche dentro la gag) e il rifiuto dell’allusione, che è sempre una forma di censura, e quindi di conservatorismo.
Quella di Cohen è una specie di rivoltante apologia del brutto, dell’energia del proletariato e dei rapporti di quartiere, la celebrazione di un sistema di valori in parte ambigui ma capaci di proteggere dagli imbonitori massmediatici (Trump li rappresenta uno per tutti) e dal politicamente corretto, ovvero dai sistemi di regolazione sociale.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace: il tentativo di Sacha Baron Cohen di cercare un nuovo spazio scopico da esplorare, alzando consapevolmente l’asticella del politicamente scorretto.

Non mi piace: l’effetto spoof movie di certe gag, raccontate con sin troppa dovizia di particolari.

Consigliato a chi: assuefatto alla comicità tradizionale, non si lascia sconvolgere dallo spirito dissacrante del film.

© RIPRODUZIONE RISERVATA