40 anni dopo quella famigerata notte di Halloween, Micheal Myers se ne sta ammanettato in un manicomio criminale, alle mercé di giornalisti e dottori. Ha commesso in tutto cinque omicidi (una miseria) e lasciato la povera Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) con un carico di nevrosi che l’ha trasformata nella versione redneck della Sarah Connor di Terminator: vive tra i boschi in una casa-trappola, si è costruita un rifugio anti-mostro in cantina, e ha allestito un tirassegno in cortile popolandolo di manichini.
La famiglia, giustamente, prende le distanze: fatti curare o non ti invitiamo più a cena. Nel frattempo, però, la contea ha la brillante idea di trasferire il serial killer in un carcere di massima sicurezza proprio la sera del 31 ottobre. Nonna Laurie, figlia e nipote si troveranno così a fare di nuovo i conti con la maledizione dell’assassino mascherato da Capitano Kirk.
Riassunto delle premesse: la nuova versione del mito ad opera del mestierante (ex-autore) David Gordon Green, prodotta dall’infallibile Jason Blum e musicata da John Carpenter, riallaccia i nodi con l’originale del 1978, immaginando una lunghissima sospensione delle ostilità, dei numerosi sequel più o meno apocrifi (compreso quello del ventennale, in cui era già tornata la Curtis) e soprattutto del notevole reboot di Rob Zombie, in cui venivano messe in scene le origini dello psicopatico omicida. Si torna quindi ad Haddonfield e a Smith’s Grove, in attesa che la situazione precipiti e i cadaveri comincino ad accatastarsi. La trama, come da manuale di questi sequel-reboot brevettati da JJ Abrams (Star Wars e Star Trek insegnano), è un’imitazione metatestuale dell’originale, quindi i personaggi e le situazioni sono al contempo un’evoluzione e una replica del modello.
Attraverso questa formula Halloween trova di nuovo una sua stabilità “industriale” che ne farà probabilmente le fortune al botteghino (d’altra parte era già successo con le ripartenze del 1998 e del 2007) ma non c’è ragione di spingersi molto più in là. Incongruenze e sbruffonate non si contano (il giornalista che sventola la maschera in faccia al serial killer!) e va bene così, l’atmosfera è proprio quella di una rimpatriata: è dura (e sconsigliabile) prendere troppo sul serio una cosa del genere, molto meglio considerarlo un party per nostalgici e teenager.
Coerentemente, nemmeno gli omicidi sono particolarmente fantasiosi: Michael continua a nascondersi negli armadi secondo abitudini di vecchia scuola, e la necessità di un rating che non sia punitivo per il pubblico a cui è destinato il prodotto, evita slanci eccessivamente cruenti e primi piani scioccanti.
Solido e rassicurante: oggi suona come un complimento, ma probabilmente 40 anni fa avevano in mente un’altra cosa