Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe: la recensione di Gabriele Ferrari
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Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe: la recensione di Gabriele Ferrari

Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe: la recensione di Gabriele Ferrari

Tutto cominciò con Guillermo del Toro e il suo Labirinto del fauno, capolavoro dark che aprì la strada all'”incupimento” del fantasy classico e alla sua virata adulta – in termini di tematiche o più semplicemente di atmosfere. Poi Tim Burton reinventò Alice e, quasi contemporaneamente, un romanziere americano di nome Seth Grahame-Smith lanciò la moda del mashup, ovvero rivisitazioni di classici della letteratura virati in chiave horror – con Orgoglio, pregiudizio e zombie a fare da apripista. Il felice (o no, dipende dai gusti) incontro tra questi due filoni ha intasato il cinema degli ultimi anni: Cappuccetto rosso sangue, la Biancaneve in compagnia del cacciatore e quella più comica di Tarsem Singh, più di recente persino un presidente degli Usa alle prese con i vampiri. Hansel & Gretel: cacciatori di streghe è solo l’ultima di queste follie, e pur essendo ben lontano dalla perfezione non farà fatica a guadagnarsi un posto nel cuore del suo pubblico di riferimento.

La storia classica, quella della casetta di marzapane, viene liquidata nella sequenza d’apertura: i due fratelli scoprono il nascondiglio della strega, vengono rapiti, si liberano, la bruciano viva. Stacco di qualche anno e ritroviamo Hansel e Gretel alla soglia dei trent’anni, inguainati in completi di latex e armati di anacronistiche e deliziose armi da fuoco: una balestra-mitragliatrice per la bella-ma-tosta Gretel (Gemma Arterton, che sembra divertirsi un sacco a menare le mani), una pistola di dimensioni spropositate per il freddo e sarcastico Hansel (Jeremy Renner, che al contrario sembra un pesce fuor d’acqua). I due sono diventati cacciatori di streghe professionisti, che battono in lungo e in largo la landa genericamente medievale dov’è ambientato il film per decapitare, bruciare, seppellire o fare a pezzi chiunque pratichi la magia nera. Arriverà anche per loro un osso troppo duro da rosicchiare nella figura della strega Muriel (Famke Janssen): eliminarla diventa così l’obiettivo dei due, nonché l’unico traguardo verso cui si muove il film. Semplice, scarno, quasi scheletrico, Hansel & Gretel ha il grande pregio di non perdersi tra subplot e rivoli narrativi, finendo per assomigliare più a una corsa in un tunnel degli orrori da luna park che a una favola epica.

È proprio la sua semplicità a salvare il film. Se la Biancaneve di Rupert Sanders soffriva di una sceneggiatura traballante e sbilenca e il Cacciatore di vampiri di Timur Bekmambetov nasceva e moriva con il suo ridicolo presupposto, Hansel & Gretel è un film che fa dell’autocoscienza e del non prendersi sul serio la sua vera forza; diretto dal talentino norvegese Tommy Wirkola – che con l’esordio Dead Snow aveva dimostrato di saper mixare alla perfezione violenza, comicità e citazionismo da nerd –, guarda con un occhio al fantasy degli anni Ottanta (da Willow a Il drago del lago di fuoco) e con l’altro alle commedie horror/splatter degli ultimi anni. Il risultato è un mix letale di scollature vertiginose, boschi infestati da streghe, sequenze action che sembrano uscite da Matrix e un approccio comico e leggero che elimina qualsiasi possibilità di prendere sul serio la pellicola. Hansel & Gretel è un film pensato per adolescenti maschi amanti di sangue e (passateci la trivialità) tette, e funziona proprio perché non prova a fare nulla di più di quel che si prefigge. Ci sono trovate deliziosamente fuori luogo e fuori tempo – sulle bottiglie di latte sono incollati i ritratti dei bambini rapiti dalle streghe, Hansel è diventato diabetico dopo essere stato ingozzato dalla strega e necessita di costanti punture di insulina –, citazioni  che sconfinano nella parodia (l’enorme troll deforme che si innamora di Gretel si chiama Edward…), morti creative e divertenti e un finale che soddisferà anche gli amanti del gore. C’è un approccio volutamente grottesco e infantile alla materia: il trucco delle streghe sembra uscito da Hellraiser, gli effetti speciali gridano «anni Ottanta!» da ogni lampo di luce verde, c’è gente che esplode schizzando di sangue e budella la povera Gretel.

Quel che manca, forse, è il guizzo decisivo: per ogni sequenza d’azione coreografata con maestria c’è un monologo noioso e inutile a fare da contraltare, e Wirkola è un fenomeno quando deve girare in esterni ma esagera con la CGI da quattro soldi quando si tratta di mostrare il sangue, quando forse, in un film così spudoratamente anni Ottanta, un po’ di classico succo di pomodoro avrebbe funzionato meglio. Ci sono personaggi inutili e inseriti a forza per aumentare il minutaggio e, rispetto a Dead Snow, c’è comunque un notevole grado di educazione che fa da freno allo splatter. Quello che poteva essere il guilty pleasure definitivo per gli amanti di horror e parodie, insomma, è a conti fatti “solo” un buon film che intrattiene per novanta minuti e che viene presto dimenticato – in attesa, ça va sans dire, dell’inevitabile sequel…

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace
Lo spirito camp con cui Wirkola affronta la rivisitazione della fiaba classica. Gemma Arterton è un piacere per gli occhi (sotto molto punti di vista). Sangue e budella scorrono in abbondanza.

Non mi piace
A fronte di tanto divertimento, c’è poca sostanza. Qualche personaggio sembra più un riempitivo per arricchire il minutaggio che altro.

Consigliato a chi
A chi vuole godersi uno splatter vecchio stile, che partendo dalla base di una fiaba arcinota riesce a costruire una piccola, divertente e autoironica mitologia.

Voto: 3/5

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