Henry: la recensione di Gabriele Ferrari
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Henry: la recensione di Gabriele Ferrari

Henry: la recensione di Gabriele Ferrari

Ci si lamenta spesso, in Italia, della monotonia dell’offerta cinematografica. «Si fanno solo commedie e cinepanettoni, oppure film lacrimevoli» è il leitmotiv. Eppure, quando (quasi) dal nulla spunta un film come Henry, in pochissimi se ne accorgono, e così succede che bisogna aspettare due anni prima di vederlo in sala. Due anni, perché il terzo lungometraggio firmato Alessandro Piva (già David di Donatello con il debutto LaCapaGira) è stato presentato al Festival di Torino nel 2010, portandosi a casa tra l’altro il Premio del pubblico. Due anni nonostante un cast che riunisce Carolina Crescentini, Claudio Gioè e Michele Riondino, ovvero alcuni tra i migliori giovani-e-talentuosi usciti dal nostro Paese in questi anni.

E allora bisognerebbe chiedersi perché un prodotto di questa qualità, e così profondamente italiano, abbia faticato così tanto a trovare il suo spazio. Ambientato nella Roma degli immigrati e dei reietti, dove imperversano lotte di quartiere per il controllo dello spaccio, Henry (termine gergale con cui ci si riferisce all’eroina) segue le vicende di un gruppo di sbandati, poveri, disperatamente tossici. Da un lato c’è Nina (Crescentini), artista nevrotica fidanzata con Gianni (Riondino) e amica di Rocco (Pietro De Silva, sicuramente il personaggio più sfaccettato e interessante del film): un terzetto improbabile che (più o meno involontariamente) viene coinvolto nell’omicidio di uno spacciatore. Dall’altro ci sono l’ispettore Silvestri (Gioè) e il collega Bellucci (Paolo Sassanelli), “uomo medio” ma di intelligenza sopraffina il primo, sbandato e corrotto il secondo, che si trovano a indagare proprio su quel morto. In mezzo, una guerra tra spacciatori che vede la mafia italiana contro una banda di africani: inutile spiegare che la spirale di follia e violenza risucchierà tutti, anche gli innocenti.

Siamo dalle parti del cinema di genere anni Settanta per temi trattati (il sottobosco criminale che popola la metropoli, la difficoltà di rialzare la testa una volta entrati nel giro), ma è dal punto di vista tecnico che Henry si eleva una spanna sopra quasi tutti i polizieschi-e-dintorni usciti dall’Italia negli ultimi anni. Piva gira tutto in digitale, ma è un digitale sporco, fatto di angoli bui e lampi di luce improvvisa, con un occhio a Mann (soprattutto nelle riprese in macchina in notturna) e uno a Tarantino (nella scelta di ritrarre molti personaggi con toni caricaturali e macchiettistici). Il risultato è uno stile quasi documentaristico ma estremamente estetizzato, con cui Piva dipinge un mondo in chiaroscuro in cui tutti gli attori si muovono con sicurezza e bravura. Interessante anche l’idea di spezzare l’azione con lunghe confessioni monologiche dei protagonisti, che vengono estrapolati dal contesto e trasformati in mezzibusti su sfondo nero: quasi che a parlare fosse l’anima del personaggio, spogliata dalle contingenze.

Arrivati a questo punto si potrebbe quasi pensare di gridare al miracolo, ma non mancano le magagne: una certa tendenza all’esposizione eccessiva, qualche banalità nei dialoghi, un paio di sequenze troppo sopra le righe  – la scelta di inserire un rituale quasi-vudù compiuto dal capo degli spacciatori africani per spronare il suo killer di fiducia prima di un omicidio, per esempio, sfocia quasi nel razzismo. Si tratta però di quel genere di difetti di cui ci si accorge dopo, ripensando al film: e in quanto critiche a mente fredda non riescono a diminuire l’impatto di un film che, pur muovendosi in una nicchia, è destinato a lasciare il segno. O meglio: dovrebbe esserlo, se lo si aiuta. Sapete cosa fare, quindi.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace
La regia di Piva che gronda talento. La visione di una Roma sotterranea e babelica, lontana dallo stereotipo turistico della Città Eterna. La prova attoriale dei protagonisti.

Non mi piace
Gli eccessi: ce ne sono molti, la maggior parte funzionano, qualcuno invece si poteva evitare.

Consigliato a chi
Vuole scoprire come si fa (come si potrebbe fare) cinema di genere in Italia nel 2012, travalicandone i confini e parlando di temi universali.

Voto: 4/5

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