Hesher è stato qui: la recensione di Marita Toniolo
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Hesher è stato qui: la recensione di Marita Toniolo

Hesher è stato qui: la recensione di Marita Toniolo

Il piccolo T.J. è distrutto per la morte della madre, avvenuta in un incidente, e il padre non riesce ad essergli d’aiuto, stordito com’è dal dolore e dai tranquillanti con cui cerca di placare le proprie emozioni. I due vanno a vivere dalla nonna smemorata, che cerca di tamponare come può la situazione e funge quanto meno da sponda. Alla situazione già precaria di T.J. si aggiunge anche l’ossessione per il recupero della macchina di famiglia distrutta dall’incidente e le vessazioni di un bullo adolescente che lavora per l’autorimessa.

…e alla fine arriva Hesher: un metallaro capellone, rozzo, volgare, violento e piromane, che adora spaccare tutto. Niente di più improbabile come profilo da life coach, ma con la sua irruenza e quell’abitudine a non filtrare nessuna verità gli passi per la testa, sarà l’unico antidoto efficace all’anestesia emozionale che ha paralizzato padre e bambino.

Sin dal suo apparire in scena la sua presenza è disturbante e destabilizzante, tanto per i protagonisti quanto per gli spettatori, ma gli angeli – specie nel cinema – si fanno vivi sotto le spoglie più impensabili. Il personaggio bizzarro che irrompe in un contesto congelato e funge da detonatore delle emozioni soppresse è d’altra parte un tema ampiamente sfruttato dalla Settima Arte, sin dai tempi di Boudou salvato dalle acque di Jean Renoir (1932), e il debuttante Spencer Susser vi costruisce attorno la classica fiaba indie da Sundance che mescola tinte nere e toni agrodolci ai leitmotiv canonici della produzione indipendente Usa. Ovvero: la famiglia disfunzionale con i suoi pregi e difetti e la ribellione al tradizionale American Way of Life, di cui con appassionato vitalismo e senza controllo Hesher rompe ogni schema. A ciò si aggiunga l’anima rockettara e selvaggia, sin dal logo dei Metallica, che permea tutta la pellicola. Abbastanza per farne un piccolo cult.

Il film, ben diretto, trova nell’efficacissima recitazione degli attori la sua grandezza, ma gli avrebbe giovato maggior cura nella costruzione del personaggio principale, che non risulta troppo credibile quando alterna l’ordinario comportamento distruttore a un’unica paternale e a un coupe de théâtre finale gonfio di tenerezza.

Il già lanciato Joseph Gordon-Levitt solitamente utilizzato dal grande cinema per le parti da bravo ragazzo o spalla assennata (leggi 500 giorni insieme e Inception) mette a segno un ruolo vincente che dovrebbe aprirgli la strada per ruoli più interessanti. Natalie Portman nei panni della commessa precaria del supermarket frequentato da T.J. porta quello speciale candore che è un po’ il suo tratto distintivo.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace il profilo da commedia indie tipica dei film presentati al Sundance e l’anima rockettara di fondo. Il talento di Joseph Gordon-Levitt a servizio di un personaggio innamorato degli eccessi

Non mi piace Il tratteggio approssimativo e un po’ sconclusionato del protagonista

Consigliato a chi adora le favole indie scorrette e i ribelli “senza una causa”

Voto: 3/5

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