L’assassino più freddo e insensibile catapultato dalla realtà virtuale dei videogiochi alla realtà cinematografica torna con un secondo capitolo, Hitman: agent 47. Questa volta, l’elegante assassino dalla cravatta rossa, a differenza del primo film in cui era inseguito dall’esercito russo per tutta l’Europa orientale, è lui a dover inseguire e in seguito a proteggere una ragazza, Kate van Dees (Hannah Ware), figlia del genetista, Peter Litvenko (Ciárn Hinds), creatore, anni addietro, di un programma che realizzava agenti come Hitman, “umani senza umanità”, ovvero, simil androidi impossibilitati a provare emozioni e sentimenti, ma semplici soldati mercenari, dotati di un codice a barra inciso sulla nuca e qualità fisiche oltre la norma, usati solo per eseguire gli obiettivi che venivano loro assegnati. A ricercare la ragazza ad ogni costo, come mezzo per giungere al padre, sono anche John Smith (Zachary Quinto) e gli altri scagnozzi di Antoine LeClerq (Thomas Kretschmann) un altro diabolico personaggio rinchiuso nel suo bunker di sicurezza, che vuol far ripartire il vile programma genetico del dott. Litvenko per creare nuovi androidi umani per loschi piani di distruzione. Gli inseguimenti tra Berlino e Singapore, sono animati da una certa suspense ed in questo turbinio di colpi ad effetto, salti mortali e proiettili vaganti si giungerà sino alla fine del film con un finale a sorpresa. In questo secondo capitolo la regia del film passa da Xavier Gens ad Aleksander Bach e il ruolo di Hitman, che nel primo film (Hitman-L’assassino) era di Timothy Olyphant, passa a Rupert Friend (Il bambino con il pigiama a righe).
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