“Hostiles.Ostili” (Hostiles”, 2017) è il quarto lungometraggio del regista-sneggiatore-attore della Virginia Scott Cooper.
“La morte arriva quando vuole”.
In un’America (siamo nel 1892) da immaginario minimo e limitato, dove si vede qualche avamposto, ogni comando da eseguire con la bandiera a stelle e strisce che indica ogni strada da percorrere e il vuoto tra un assalto e una natura maestosa e meschina. Il sangue della vita degli eroi fasulli danno lacrime di fermezza e l’odore del pudore della morte saccheggiano ogni destino già prima di partire. Pass e leggi, severità e capitano in un putiferio di polveri abbassate, di luci ammutolite e di distese roboanti di corpi da seppellire.
Incipit: inquadratura lontana, paesaggio povero, una casa di legno isolata, un nonno che sega un tronco, una madre e i figli, silenzio e pochi rumori di fondo, da dietro si odono il sentire di cavalli, bassa sulle zampe la ripresa, l’arrivo, tutto senza risparmio, ladri e furenti, fuoco e pallottole, la donna scappa con i figli, il nonno in difesa, morte atroce e spari su innocenti, la madre col pargolo in un bosco vicino, nascondi-mento, passi, silenzio e respiro trattenuto, arrivano le fiamme e tutto brucia mentre si allontanano i cavalli. Titolo.
Film funereo, implosivo; quando la rivalità estrema, di sangue rivoltante diventa amalgama e antipatia, poi l’accoglienza intensa è col nemico personale come col coltello squarciante un corpo conosciuto, ti accorgi che una nazione, un paese, una città e un terreno futuro rigoglioso nasce o può nascere da trucidi avvenimenti e fa duelli ravvicinati senza ripari e schemi. L’ultimo appiglio è di togliersi ma qualcuno manifesta coraggio a vivere o morire per qualcosa forse per un nulla. La voce con la sua legge comanda in ogni caso e si deve rispondere sì: deve accompagnare il capo Cheyenne, Falco Giallo (Wes Studi) e la sua famiglia verso le loro terre native, dal New Mexico al Montana. Una lunga traversata dove si mescolano i diritti di tutti, tra assalti, assalitori, indiani, nativi, militari e bambini.
Menzione di un terreno sconosciuto e del capitano che deve accettare una missione pericolosa. In un western poco incline al soporifero, in un dramma dove non c’è sconto per i bambini, in un’avventura sintetica e avara di spettacolo, “Hostiles” rimane un film avido e truce con linee di confine mai vicine e orizzonti imprecisi. La casa d’arrivo è una ‘terra desolata’ dove non esiste nessun presidente e legge: l’unica legge è il fuoco. “Toglietevi dalle palle”: ecco come si arriva ad una destinazione con protezione inutile e morte che tracima ogni poro di pelle. Senza sconti e con un treno in partenza. Un treno di fuoco e un treno di fumo che porta la speranza di una donna e di una bambina. Per Chicago in un emisfero di sogno represso.
Western di ordini e comandi, rari colloqui di respiro e attese di un domani. “Crede nel Signore” chiede Rosalie al Capitano mentre legge le Sacre Scritture. E un Capitano che usa forza e spirito, sangue e commozione per raggiungere l’ordine preso.
Christian Bale (Capitano Joseph J. Blocker ) ha fatto molta strada, come attore, da quel 1987 (“Empire of the Sun” di Spielberg, appena tredicenne) e, sicuramente, continuerà a farla: una postura è un modo di recitare veramente attento e mai privo di rotondità affettive sopra le righe. Un capitano fermo, deciso, attento, fisso, lacrimato e riempitivo della scena, sia di fronte che di spalle o ancora meglio quando osserva, in silenzio, gli altri, gli amici, il corpo senza vita e un terreno privo con alcuni cumuli di eroi giornalieri seppelliti. È una donna (Rosalie) in carreggiata e presa in pattuglia che lascia il segno e decide il da farsi. Una madre (Rosamund Pike) priva di tutto, padre, marito e figli. Un grembo ancora pieno di sangue che vuole scavare con le proprie mani la sua tomba e quella del proprio piccolo ancora tra le sue braccia. Una casa bruciata e tutta annerita è stato il suo rifugio, il cielo stellato, adombrato è pieno d’acqua è stato il suo tetto per rutto il viaggio accanto ad un capitano che con gesti e massacri le ha ridato una speranza. L’ultima inquadratura, il suo rigirarsi, il prendere un viaggio, forse un treno che parte è un affetto verso persone sconosciute, da Butte in Montana: stranieri che si incontrano.
Musica rarefatta e mistica, poco incline alla sfaccettature dei luoghi, sembra partire ma poi si fa assente, ispira un pericolo in attesa e arriva quando (forse) non credi. Gli indiani in assalto non certamente stanno a guardare. Il sonoro è in ritardo perché un film può essere anche senza morte quando pensi di averla di fronte.
Ambientazione efficace; i cavalli che risalgono il bosco pieno di pioggia, quando penetrano le gole, quando rasentano l’orizzonte, quando accarezzano la natura nelle grandi vallate o vanno dentro alle acque di un fiume danno un segno di antico ma raccontano (anche) l’oggi con un respiro ansimante di scontro corpo a corpo.
Regia che ridisegna il gusto per un cinema classicheggiante.
Voto: 7½ /10 (***½).