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Hugo Cabret: la recensione di Silvia Urban

Hugo Cabret: la recensione di Silvia Urban

Ci sono film che sfuggono a qualsiasi definizione. Ci sono film che vengono venduti come pellicole per ragazzi – l’ispirazione, del resto, è La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, il romanzo illustrato di Brian Selznick –  ma in realtà sono rivolte a un pubblico decisamente più adulto e cinefilo. Ci sono film che rischiano di risultare autoreferenziali e invece si rivelano un’autentica dichiarazione d’amore nei confronti della Settima Arte. Ci sono film lunghi, non certo caratterizzati da un ritmo brillante, ma che nonostante tutto sanno emozionare, se si ha la pazienza e la sensibilità di lasciarsi coinvolgere.
Ci sono film come Hugo Cabret.
E ci sono registi come Martin Scorsese che, dopo anni di carriera, sanno ancora sorprendere e dare vita a opere inedite e uniche nel panorama cinematografico.

Siamo nei primi anni del ‘900 e Hugo è un orfano che vive all’interno della stazione di Parigi insieme a un automa lasciatogli in eredità dal padre. Nascosto dietro ai vetri o tra gli ingranaggi del grande orologio che campeggia sull’edificio osserva il via vai continuo di gente, la vita quotidiana di goffi negozianti e i movimenti dell’inflessibile capostazione da cui è bene tenersi alla larga. Ma c’è un negozio che più di tutti lo incuriosisce: quello di giocattoli gestito dal burbero George. Sarà proprio l’incontro con questo misterioso giocattolaio, che di cognome fa Méliès, e con sua nipote Isabelle a dare il via a un’avventura che porterà Hugo a trovare la chiave per far funzionare il suo robot e a (ri)scoprire le origini del Cinema, attraverso uno dei suoi più geniali demiurghi.

La sensazione è che il regista abbia “usato” il romanzo di Selznick per dare sfogo alla passione di una vita, perché di fatto una vera storia non esiste. Scorsese ci racconta il suo amore per la Settima Arte con così grande trasporto da ritagliarsi addirittura un cameo nel film, affidando a uno straordinario Ben Kingsley il compito di riportare in vita il primo grande poeta del Cinema.
Hugo Cabret non è un film perfetto e non è certo un film per tutti. A livello narrativo, la partenza è molto lenta e Scorsese indugia sull’atmosfera fantasy-retro della messa in scena, creando dei siparietti solo per dare spazio a personaggi secondari in definitiva superflui. Solo dal flashback che racconta la storia di Hugo e di suo padre (un convincente Jude Law) il ritmo comincia a decollare e spiana la strada verso il completo disvelamento dell’anima principale del film: George Méliès, alla cui vita viene dedicata tutta la seconda parte del film, la più convincente.
Però Hugo Cabret è un film ricchissimo, dove a incantare non è solo una regia attenta a ogni singolo dettaglio, una qualità dell’immagine che sfiora la perfezione grazie a un uso efficace del 3D, una fotografia che impreziosisce la scenografia già preziosa di Dante Ferretti e il talento dei due giovanissimi attori protagonisti (Asa Butterfield e Chloë Moretz), ma soprattutto il gioco cinefilo con cui il regista si diverte a mescolare citazione, sogno, filmati d’archivio, immaginazione, omaggio, ricostruzione.
Scorsese recupera i primi filmini dei fratelli Lumière (L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat prima ispira un incubo di Hugo e poi si trasforma in realtà con il ragazzino che quasi finisce schiacciato da una locomotiva) ma gira in 3D, quasi a voler ripercorrere l’intera storia del cinema in un’esperienza che fonda passato e presente e ne esalti la potenza evocativa, capace di travalicare tempi e generi.
Pur senza rinunciare a mostrarne il lato dolente: la rassegnazione di un Méliès ormai dimenticato da tutti che si autoinfligge l’oblio, oltre a testimonianza del fatto che di cinema si soffre, può anche essere letta come metafora della stanchezza e della povertà (di idee) di cui è vittima la Settima Arte oggi. Ma risollevarsi è possibile. Anche perché, per fortuna, c’è sempre qualche Hugo Cabret che ci ricorda che il lieto fine esiste… e non solo nei film.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
L’incanto della messa in scena, la performance degli attori protagonisti, la passione con cui Scorsese dichiara il suo amore per il Cinema e il ricco omaggio a George Méliès

Non mi piace
L’assenza di una vera e propria storia, i siparietti creati per dare spazio ai personaggi secondari che non aggiungono nulla e finiscono per allungare inutilmente un film già caratterizzato da un ritmo lento

Consigliato a chi
A chi è interessato a un fantasy per adulti dal sapore iper-cinefilo

Voto
4/5

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