La guerra fra gentiluomini. Un tema molto caro a chi ama i film di genere e il cinema in generale.
Una pellicola questa che senza voler assurgere agli onori degli Oscar mostra di avere tutte le credenziali per essere un buon film, che non ci fa rimpiangere i fasti del suo più noto precedessore, “Caccia a ottobre rosso”. Se lì indubbiamente avevamo Sean Connery, qui abbiamo Gerard Butler che incarna un ruolo ritagliato su misura per lui, Gary Oldman, sempre impeccabile anche se forse leggermente in ombra in questa parte e Michael Nyqvist, l’omologo di Daniel Craig nella versione danese del capolavoro di Stiegg Larson e che qui è alla sua ultima performance, motivo per il quale il film gli è stato anche dedicato. Attori bravi, dunque, sia protagonisti che comprimari, per un film adrenalico, appartenente di diritto alla schiera degli action movie e che ripropone per l’ennesima volta il tema della Guerra Fredda e della solidarietà e il rispetto fra nemici.
La pellicola è l’adattamento cinematografico del libro Firing Point, scritto da Don Keith e George Wallace, e narra del Comandante Joe Glass (Gerard Butler), guida capace della squadra del sommergibile nucleare americano Arkansas, che ha l’improbabile compito di recuperare niente di meno che il Presidente della Russia, rimasto vittima di un colpo di stato, e che avrà l’ingrato compito di decidere come e se sparare al nemico, e soprattutto, chi sia il nemico. Gli si contrappone il pluridecorato e guerrafondaio ammiraglio Donnegan (Gary Oldman) di altra pasta e mentalità, che vorrebbe difendere la posizione degli Stati Uniti senza esclusione di colpi, rischiando così di compromettere un equilibrio complicato e fragile. A fare da spalla a Glass in questa avventura impossibile è il capitano russo Sergi Andropoyov (Michael Nyqvist) tratto in salvo proprio da lui, contro il parere del suo equipaggio e che si rivelerà invece una fonte preziosa di informazioni per potere portare a termine la missione nonché vero e proprio jolly nella parte finale.
Un bel trittico, insomma, e una bella sfida, che ci dimostrano come mai prima d’ora cosa voglia dire obbedire per amore o per forza, di quanto sia nella vita che sul campo di battaglia, sia profonda la distinzione fra autorità ed autorevolezza e di come la stima e la lealtà verso per i propri compagni (perchè così si autodefinisce Glass, ben lungi dal voler stare su di un piedistallo) siano più forti di qualunque ordine gerarchico.
Un bel film, dunque, che ci tiene attaccati allo schermo per ben due ore, senza farcelo minimamente pesare. Azione e buoni principi, impianto classico e una tematica già nota ma con più di qualche guizzo di novità (non ultima, il Presidente americano donna), che comunque ci spingono a non perdere questa pellicola che se pure non mostra tracce evidenti di autorialià, resta un prodotto di tutto rispetto.