Il caso Spotlight: la recensione di Donato Prencipe
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Il caso Spotlight: la recensione di Donato Prencipe

Il caso Spotlight: la recensione di Donato Prencipe

Tom McCarthy (The Cobbler) scrive e dirige un film denuncia sugli abusi ai danni di minori perpetrati dalla Chiesa cattolica, ponendo l’accento sulle difficoltà che possono emergere quando si tratta di indagare nei meandri di quest’ultima. Il racconto prende origine quando, nel 2001, una squadra di giornalisti (Spotlight), del Boston Globe, viene incaricata di indagare su un sacerdote che si era sporcato di atti ignobili e inqualificabili consumati in alcune parrocchie della città di Boston e di riuscire a provare la colpevolezza dell’arcivescovo Bernard Francis Law reo di aver coperto l’increscioso episodio e non condannato il prelato. La squadra, composta da Walter Robinson (Michael Keaton), Michael Rezendes (Mark Ruffalo), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams), Matt Carroll (Brian d’Arcy James), guidati dal neo-direttore Marty Baron (Liev Schreiber), si imbatte in un vero e proprio sistema messo in scena dalla Chiesa per occultare diversi casi di pedofilia commessi da ben settanta sacerdoti in un periodo che va dal 1970 al 2001. La loro indagine si svolge raccogliendo testimonianze dirette da vittime che anni addietro avevano subito abusi, oltre a destreggiarsi in una fitta melma, intrisa di indagini insabbiate, avvocati difensori del clero messi a tacere con il denaro e all’omertà di chi sapeva e non aveva mai denunciato per il timore reverenziale nei confronti della Chiesa, o da chi veniva costretto a non farlo. L’articolo di denuncia viene pubblicato dal Boston Globe nel 2003, aggiudicandosi il premio Pulitzer e causando lo sdegno auspicabile nell’opinione pubblica ed in particolar modo nella comunità di Boston. La fede nei confronti di un istituzione può portare a fidarsi di essa senza avere il minimo beneficio del dubbio sul suo operato, anche se alle volte tutto ciò può trasformarsi in una mattanza di coscienze sostituite da giudizi insensati ammaestrati dal potere di una parola ritenuta sacra. Il film ha conseguito due premi oscar: miglior film e miglior sceneggiatura originale scritta a quattro mani dal già citato sopra Tom McCarthy e da Josh Singer, firma di diverse sceneggiature per le serie tv, con la speranza che sia servito anche a smuovere le coscienze di coloro che credono ciecamente in un istituzione clericale e che in quanto tale credano sia costituita da santi, diffidando dal pensare che la sua attività è svolta da esseri umani, non estranei a vizi e forme perverse di piacere, ed in quanto tali perseguibili e a maggior ragione condannabili aspramente al pari dei “non fedeli”. La condanna è certamente rivolta nei riguardi di chi si approfitta della veste che indossa, trascurando che il potere che ne deriva è frutto di un’osservanza servile da parte dell’uomo nei riguardi di Dio, del suo protettore e non di chi usa il suo nome per animare la propria austerità.

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