Il caso Spotlight: la recensione di Mauro Lanari
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Il caso Spotlight: la recensione di Mauro Lanari

Il caso Spotlight: la recensione di Mauro Lanari

“Il film di McCarthy è un marchingegno funzionante pressoché alla perfezione. Non gli manca nulla di ciò che rende d’alto livello un prodotto cinematografico: scrittura e recitazione di prim’ordin’e un cast eccezionale non solo per i nomi ma per le performance ver’e proprie.” Tuttavia “Spotlight [è] l’ennesima storia d’eroi che sfidano l’ambiente circostante, con tanto di ricamino finale sulla cosiddetta colpa condivisa: la colpa è pure nostra ch’abbiamo girato la test’altrove… ma tenetevi a distanza perché noi restiamo migliori di voi. Un argomentare che lascia il tempo che trova.” Lascia il tempo che trova pure tal’obiezione. Ribadendo come la pellicola dal taglio classicissimo riesc’a far scorrere con incredibile fluidità i suoi 128 minuti, c’è da precisare ch’il Pakula del ’76 era un pean’a favore del giornalismo d’inchiesta, il recente film di Cuesta ci mostrav’un “beautiful loser” che combattev’il sistem’a cui eran’affiliat’i suoi stessi colleghi della stampa, e McCarthy si spinge persino più in là, a un 3° livello di disincanto, smorzando i trionfalismi e ammettendo ch’il sistema fagocita chiunque. Più che dare grande spazio e tempo alla pedofilia dei sacerdoti avallata o insabbiata o approvata dalla Chiesa, indaga i reporter investigativi, segue le dinamiche personali della redazione d’assalto, mantiene un basso profilo per evitare ton’inorriditi, condanne unilaterali, esaltazioni di presunti protagonisti senza macchia. 3 film su 3 Pulitzer, però il cuore di “Spotlight” si trova in appena 4 scene riguardant’il Walter ‘Robby’ Robinson di Michael Keaton: “E tu”?; “Io dov’ero?”; “Era l’allenatore della nostra squadra d’hockey”; “Noi dov’eravamo? Avevamo ricevuto il materiale necessario già anni fa e io lo cestinai”. Al regista interessa scavare più dentr’il team di giornalisti ch’al di fuori, denunciando la connivenza e collusione, appunto sistemica e sistematica, volontaria o meno, d’ognuno di noi senz’eccezioni. L’inebetito sbigottimento che man mano si palesa fra i redattori è dovuto alla presa di coscienza del loro coinvolgimento nello scandalo per averlo ignorato col prestar’attenzione sempre ad altre notizie. Così McCarthy applic’a questo filone cinematografico la più antica sapienza greca, lo “gnôthi sautón”/”Gnōthi seautón”, in latino “Nosce te ipsum”/”Temet nosce”, scritt’anche nella cucina dell’Oracolo di “Matrix” (http://1.bp.blogspot.com/_PPDdhF6mqWo/TSsueBdLc7I/AAAAAAAAAhU/65yAeJRa0M8/s1600/TemetNosce.jpg), l’autaccusa che da Terenzio arriva sin’a Baudelaire (l'”Heautontimorumenos”), il “medice cura te ipsum” di Luca 4, 23 (https://www.biblegateway.com/passage/?search=Lucas+4:23;Luca+4:23&version=VULGATE;CEI), il raffronto evangelico tra la propria trav’e la pagliuzz’altrui (http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Matteo+7,+3-5;+Luca%206,41-42), il Rimbaud che nell'”Alchimie du verbe” d'”Une saison en enfer” (1873) inizia con “A moi” (https://books.google.it/books?id=oljyOpjXJ4AC&pg=PA222&dq=”A+moi””A+me”), il Freud che dedicò un triennio all’autoanalisi prima di pubblicare “L’interpretazione dei sogni” per continuarla sol’a sprazzi nei 40 anni successivi, il Popper ch’inaugurò un empiriorazionalismo critico ma non autocritico delegando alla restante comunità scientifica l’onere della falsificazione, e venne ripagato con la sua stessa moneta quando nel ’74 Tichý, Miller ed Harris gli dimostrarono l’insostenibilità logica del criterio di verosimiglianza: “Accettai la critica della mia definizione pochi minuti dopo che mi fu presentata, chiedendomi come mai non avessi visto prima l’errore”, il Trier ch’in “Antichrist” (2009) pon’a vertice del male sé stessi (http://oi58.tinypic.com/1z2ef4m.jpg). E ciò è appen’il preambolo d’una nuova linea di fuoco, tra la pedofilia familiar’e dunqu’incestuosa e l’associazioni che dal PNVD olandese al NAMBLA statunitense sono favorevoli alla depenalizzazione del reato sulla base della completa rimess’in discussione dell’erotismo e della sessualità infantil’e adulta (http://www.francoangeli.it/Riviste/Scheda_Rivista.aspx?idArticolo=31417). Insomma: la redazione del “Boston Globe” ci rappresenta tutti quanti con squisita finezza e raffinatezza, c’interpella con un’intelligenza lucida e rara. Soderbergh ha girato almen’un paio di film sul tema dell’autoinganno e della deresponsabizzazione decettiva, “Bubble” (2005) e “The Informant!” (2009). McCarthy sarebbe potut’essere molto più esplicit’e diretto, ma poi pubblico e critica com’avrebbero reagito? Ps.: scommetto ch’esiste pure un 4° livello di disincanto. Staremo a vedere.

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